Sono Giampaolo Corona e questa è la relazione della mia salita al Makalu Himal (8475 m). Premetto che questo è stato per me il primo ottomila. Ho un po' patito ed i ricordi non sono lucidi al 100%. Campo 3 Makalu Lha (7500 m). Dopo aver salutato Renzo, che è impossibilitato a proseguire per la forte tosse, sono partito verso mezzanotte insieme a Gelinde e Karl; subito dietro tre alpinisti dell'altra spedizione austriaca (Carinzia) ed un altro alpinista del gruppo di Gelinde. Il tempo è bello e fa molto freddo. Dopo circa due ore arriviamo al Campo 4 dove Gelinde dice che non sente più i piedi. La faccio entrare nella nostra tenda, montata per emergenza, dove Karl, il loro medico che è anche guida, cerca di riattivarle la circolazione; ed io, chiedo da bere per lei, alla tenda degli iraniani scesi il giorno prima, e agli altri austriaci giunti nel frattempo, in quanto il mio kamelback (borraccia dorsale) era ghiacciato. Ancora adesso non capisco il motivo per cui nessuno mi diede da bere per Gelinde. Fuori dalla tenda, senza muovermi stavo congelando, così comunicai a Gelinde e Karl che sarei proseguito da solo. Davanti a me vedevo in lontananza tre frontali (alpinisti coreani) e quelle degli altri austriaci che erano nel frattempo ripartiti. Era molto freddo, - 30°, e al sopraggiungere dell'alba, assieme ai 4 austriaci che erano 50 metri sopra di me, decidiamo tutti di fare una pausa per scaldarci, appena sotto ai seracchi attrezzati. Da lì ho visto Karl partire dal Campo 4. L'altro austriaco del gruppo di Gelinde torna indietro, mi passa davanti e scende fino a Karl. Scambia delle parole con lui e si gira di nuovo in su. Appena sopra i seracchi, dopo un pendio obliquo a sinistra raggiungo gli altri 3 austriaci. A dire la verità non c'è stata molta conversazione fra noi, ma io contavo in un aiuto reciproco in caso di bisogno. Ci alterniamo a pestar neve nella conca sotto il French Coluoir. Appena prima del traverso che lo precede ci fermiamo e Karl ci raggiunge dicendo che ha perso i pantaloni in gore-tex, e ne indossa un paio di fortuna che aveva nello zaino. Dietro c'è l'altro austriaco. Attacchiamo il canale che è formato da risalti di roccia e neve, i 3 austriaci della Carinzia, Karl, io e l'altro alpinista. Ci sono raffiche di vento che sparano giù la neve mossa dagli altri sopra di me e faccio fatica a guardare su. Ad un certo punto, l'ultimo alpinista sopra di me (Karin), fa cadere un sasso grande come un pallone e lo schivo appiattendomi contro un masso. E' troppo pericoloso e decido di fermarmi lì finché non saranno fuori dalla verticale. Poi proseguo e, prima di uscire in cresta in una zona esposta al vento, aspetto l'ultimo alpinista dietro di me perché volevo farmi riprendere con la videocamera. Forse per stanchezza o perché portava occhiali a maschera e moffoloni, mi accorgo che sbaglia inquadratura continuamente. Qui, faccio il collegamento radio con Narci e Renzo e comunico che sono sulla cresta. Poi proseguo sulla cresta rocciosa cercando di evitare i risalti a destra e a sinistra. Mi metto i moffoloni poiché uso di radio e videocamera mi stavano causando un principio di congelamento. La cresta di roccia e neve che precede l'anticima, non essendo difficile, permette di seguire diversi percorsi. Io cercavo di evitare le raffiche di vento e mi fermavo ogni tanto per sbattere le mani. Non riuscivo a vedere dov'erano gli altri alpinisti. Gli unici che avevo osservato erano probabilmente i tre coreani sull'anticima. Ho proseguito fin sotto il risalto di roccia dell'anticima dove, sbagliando, ho provato a passare a sinistra. Poi ho capito che il passaggio era a destra, sopra un caratteristico pilastro su un ripido pendio di neve. Mi fermavo spesso a sbattere le mani e la mia lucidità non era delle migliori. Fra l'anticima e la vetta c'è una cresta di neve, prima in piano poi più ripida con le tracce quasi cancellate dal vento. La cima è di neve con roccette sulla destra e pendio ripido sulla sinistra salendo. Sulla vetta, oltre a non essere molto cosciente, l'insensibilità delle mani sotto due paia di guanti non mi ha permesso di aprire la cerniera della tuta e manovrare la videocamera digitale né tanto meno la radio. La discesa è stata un calvario; non ricordavo bene la via di salita e dopo la cresta le roccette sembravano tutte uguali. Non posso dire con assoluta certezza se ho visto delle persone. L'unica che ricordo era Gelinde che stava salendo. Poi, più sotto, l'altro alpinista dato poi per disperso. Anche sul ghiacciaio, quando è salita la nebbia, sono sceso dritto ed è stato un caso non finire sopra i seracchi o in un buco. Per fortuna, abbassandomi di quota ho cominciato a stare un po' meglio ed ho raggiunto prima il Campo 4 e quindi il Campo 3 dove mi sono rifocillato e dove mi attendevano Renzo, Seba e Donato. Con il loro fondamentale aiuto abbiamo intrapreso la discesa, lunghissima, e siamo arrivati al Campo Base Avanzato a tarda notte. Giampaolo Corona | | "La cresta di roccia e neve che precede l'anticima, non essendo difficile, permette di seguire diversi percorsi. Io cercavo di evitare le raffiche di vento e mi fermavo ogni tanto per sbattere le mani. Non riuscivo a vedere dov'erano gli altri alpinisti. Gli unici che avevo osservato erano probabilmente i tre coreani sull'anticima." "Fra l'anticima e la vetta c'è una cresta di neve, prima in piano poi più ripida con le tracce quasi cancellate dal vento. La cima è di neve con roccette sulla destra e pendio ripido sulla sinistra salendo." "Sulla vetta, oltre a non essere molto cosciente, l'insensibilità delle mani sotto due paia di guanti non mi ha permesso di aprire la cerniera della tuta e manovrare la videocamera digitale né tanto meno la radio." |