La Pisanda di Venzone, l'effimera cascata raccontata da Pierpaolo Pedrini
"Il 1989 è stato un anno particolare. Niente neve, un freddo becco. Lei si era formata, solo per un breve periodo, e poi, in tutti questi anni, mai più...fino ad ora."
È così che la guida alpina Pierpaolo Pedrini ci ha parlato di La Pisanda di Venzone, la cascata di ghiaccio alle porte della storica cittadina friulana. Un salto, a dire il vero anche abbastanza facile, che però nasconde tutto il suo fascino nel fatto che si forma, forse, chissà quando, quasi mai, ma prima o poi... Una cascata che si fa attendere e corteggiare come poche. Ecco il testo di Pedrini della sua salita il 13 febbraio scorso assieme a Remigio Stefenatti che ci racconta la storia di questa rara formazione - di cui non si conoscono i primi salitori - e che ci ricorda come si scalava il ghiaccio più di 20 anni fa.
La Pisanda di Venzone. A volte ritornano...
di Pierpaolo Pedrini
Non era cominciata nel migliore dei modi la stagione dell’ ice...autunno asciutto e dicembre caldo, un binomio che non porta niente di buono, fino a quando qualcuno ha finalmente girato il termostato sull’inverno.
Nel giro di una decina di giorni si è solidificato tutto, come per magia si sono formate delle colate ghiacciate come erano anni che non se ne vedevano, infatti complice l’esigua portata anche le cascate dove solitamente scorre l’acqua erano immobilizzate dal gelo.
E così un pomeriggio di ritorno da una cascata proviamo a dare un’occhiata alla Pisanda di Portis vicino a Venzone (250m S.L.M.), restiamo a bocca aperta: ghiacciata ma soprattutto....chiodabile. Solitamente lì ci andiamo a fare canyoning con i clienti (14 calate) quindi le soste sono già attrezzate: attacchiamo e vediamo fin dove si arriva..
Le difficoltà sono classiche e salendo ho tutto il tempo per pensare alla storia di questa cascata; la prima salita a me nota (forse l’unica vista la bassissima probabilità di formazione della cascata) risale al 1989, anche allora fu un inverno molto secco e freddo.
Sono passati poco più di vent’anni, ma se ripenso a come si andava allora mi sembra un secolo... Ai piedi due pesantissimi ed ingombranti plasticoni, pantaloni, sovrapantaloni in Gore e giacca a vento (ora la chiamano guscio), le mani erano quelle che se la passavano peggio; o guanti da palombaro o moffole di lana cotta, in ogni caso nocche gonfie e dita congelate.
In quegli anni la maggior parte di noi scalava con le piccozze a manico dritto, i più fortunati (e ricchi) con le prime a manico lievemente incurvato. Per posizionare i chiodi di allora erano necessarie due mani, quindi eravamo collegati alle picche con due cordini regolabili (chiamati tira molla) che ci permettevano di appenderci agli attrezzi e di chiodare.
A proposito di chiodi: o si usavano quelli in titanio, che col ghiaccio duro non entravano, o dei tubi a battuta che facevano delle rose enormi, in comune avevano la bassa tenuta alle sollecitazioni.
L’evoluzione nei materiali in questi anni è stata impressionante, ha permesso di portare le difficoltà a livelli molto alti, ma soprattutto ha elevato il livello di sicurezza e di conseguenza il divertimento.
Con questi pensieri abbiamo salito tre salti di 35m, 25m e 50m. Di gradi non ne voglio parlare: oggi abbiamo salito qualcosa di unico, impegnativo ma non estremo, qualcosa che tra una settimana non esisterà più, qualcosa che forse dovremo attendere altri vent’anni prima che si riformi....chissà che per quella volta non ritornino di moda le picche col manico dritto?
Note: quota 250m, avvicinamento 5 min, 3 tiri (35m-25m-50m), difficoltà max 4+, ritorno in doppie su spit, salita il 13 febbraio 2012
Pierpaolo Pedrini
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