Intervista a Nico Favresse dopo la spedizione Groenlandia 2010

Intervista al climber belga Nicolas Favresse dopo la spedizione di 3 mesi di arrampicata e barca a vela in Groenlandia.
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Nicolas Favresse durante l'apertura di The Devil?s Brew, Groenlandia.
Favresse archive

I climbers Nico e Olivier Favresse, Sean Villanueva e Ben Ditto sono recentemente tornati da un viaggio di tre mesi in Groenlandia dove si erano recati per esplorare le enormi big wall di granito. I quattro hanno viaggiato in barca a vela, accompagnati dal loro skipper Bob Shepton, e nella loro ricerca hanno aperto nove vie per un totale di 4500m di roccia vergine e, dettaglio interessante, in tutto hanno lasciato in posto soltanto uno spit. I loro piedi sono su terra ferma da un po', quindi è arrivato il momento per capire di più.

Bentornato Nico. Sembra che vi siate divertiti un sacco in Groenlandia. Ma era semplicemente un altro grande viaggio, o qualcosa di più?
Credo sia stato entrambe le cose. Grande perché eravamo un gruppo di amici che si è divertito semplicemente arrampicando e andando in barca a vela che per tutti noi era qualcosa di molto nuovo. Ancora una volta siamo stati molto fortunati con il tempo e così abbiamo potuto scalare un sacco. Poi a questo si aggiunge il fatto che non abbiamo quasi mai dovuto fare dei lunghi avvicinamenti – a noi sembrava una cosa rivoluzionaria!
Ma è stata anche un'esperienza profonda, perché abbiamo navigato nello stesso modo dei primi grandi esploratori di centinaia di anni fa. Era come andare indietro nella storia, tranne che molto tempo fa, senza la tecnologia moderna, è stata un'avventura ancora più grande. Inoltre, è stato molto bello godere dell'energia del reverendo Bob Shepton. La cosa divertente è che tecnicamente è sufficientemente vecchio per essere nostro nonno! Spesso ci ha raccontato storie delle sue avventure e mi sentivo come un nipote che ascoltava il nonno saggio!

"By fair means" – con mezzi leali – è una espressione molto utilizzata negli ultimi decenni. La vostra spedizione a Baffin e il vostro viaggio in Groenlandia hanno un approccio simile. Vi spingerete ancora più in là in futuro?
Sì, sicuramente! Più arrampico, più capisco che l'arrampicata ha un significato più ampio del semplice “muoversi sulla roccia”. Mi sono reso conto che mi appassiono soprattutto all'avventura, alla scoperta di qualcosa di nuovo. Ciò a cui aspiro è salire pareti remote inviolate "by fair means", con un confronto leale. E sta a noi avere l'immaginazione per trovare mezzi leali che sono anche divertenti! Penso che siamo tutti molto attaccati alla maniera tradizionale di arrampicare, ma a volte ci dimentichiamo che non ci sono regole effettive e, per me, l'arrampicata vissuta come un'avventura ha in sé il miglior potenziale per il futuro.

Una parte dell'avventura è stata indubbiamente la navigazione in barca a vela. Dove vi ha portato il vento?
Beh... non sempre nella direzione giusta! Questo significa navigare in barca a vela, sei molto dipendente dal vento e talvolta è necessario essere pazienti finché le condizioni girano a tuo favore. Non puoi avere fretta. Bisogna vivere secondo l'umore degli elementi. Ma questo lo trovo molto bello, soprattutto nel nostro mondo moderno dove tutto è legato all'orologio.

Quando è finalmente arrivato il momento giusto, cosa avete fatto?
Complessivamente abbiamo salito circa 4500m di roccia inviolata, senza contare i traversi in cresta. Abbiamo piazzato uno spit soltanto, su una placca. Non siamo riusciti a proteggerla ed era troppo spaventosa e difficile da fare senza. Semplicemente non siamo stati abbastanza coraggiosi per mantenerla pulita o ritirarci. C'è sempre spazio per migliorare ...
Oltre a questo, il motivo per cui siamo riusciti a salire tutte queste nuove vie senza piantare spit si deve al fatto che lì la roccia è caratterizzata da un sacco di fessure che accettavno perfettamente le protezioni veloci. A volte le fessure erano nascoste sotto l'erba, ma c'erano sempre sufficienti opzioni per procedere senza lo spit. Con un po' di immaginazione ed esperienza si riescono sempre a scovare più protezioni di quelle che appare inizialmente. A volte abbiamo dovuto mettere il nostro confort in secondo piano, per mantenere le vie pulite e per fortuna tutto è andato liscio. Tranne un momento spaventoso quando il lato di una fessura si è rotto e metà del nostro ancoraggio è uscito!

Beh, qui si parla di grandissima fortuna. Come è stato poi l'altra metà dell'avventura, il ritorno attraverso l'Atlantico?
Interessante! Attraversare l'Atlantico è stata una sensazione strana. Da un lato, essere in quell'enormità di acque aperte è stata una sensazione incredibile di libertà, ma dall'altro ci sentivamo come se fossimo in carcere, tutti bloccati su una piccola barca senza possibilità di uscire. Ma come esperienza globale è stata davvero incredibile. Guardando le mappe ora è bellissimo vedere dove abbiamo navigato, ma in realtà su una barca come questa, non succede molto. Tutto è piuttosto lento e morbido, tranne durante le tempeste. Tutto e nulla succedeva intorno a noi. Inoltre, siccome la barca era piccola, non c'erano molti posti per rilassarsi. I sedili sono stati convertiti in cuccette per dormire, e spesso il tempo era troppo brutto per rimanere fuori. Per la maggior parte del viaggio, l'ondeggiare della barca ha reso impossibile leggere, a meno che poi non si volesse soffrire di mal di mare. Così abbiamo speso il tempo principalmente nelle nostro cuccette, distesi lì per ore, mezzo addormentati nel bel mezzo del nulla, pensando a tutto e niente. E' stato un ottimo momento per riflettere sulla vita. Ma ero così eccitato quando finalmente ho rimesso piede in terra ferma!

Cosa ti ha colpito di più in questo viaggio?
Mi è successo il peggior volo della mia carriera! Avrei potuto morire! Sono caduto con un enorme masso che s'è staccato proprio quando l'ho preso in mano. Ho fatto una caduta di 15 metri con fattore 2, giù per una placca con piccole cengie, e la sosta si è spezzata in parte. Il masso ha fatto esplodere la nostra sosta, tagliato una fettuccia e rotto un moschettone. Il manto della corda si è sfilato in svariati punti, e mi sono ritrovato a testa in giù... ma in vita, senza essermi fatto nulla! E' stata pura fortuna! Il gusto della birra è ancora meglio adesso ;-) Scherzi a parte, sono convinto che il mio istinto non è stato abbastanza attento per evitare questo incidente. Ho fallito, ma sono stato molto fortunato da poter usare questo incidente come un'esperienza istruttiva. Lo stesso giorno, la mia amica Chloé Graftiaux non è stato così fortunata quando è precipitata nella zona di Chamonix ed è morta. Sono rimasto molto scosso dalla notizia e ancora di più dalla coincidenza. Lei non meritava di morire così giovane.

Nico, sei attivissimo ad aprire nuove vie in tutto il mondo. Ci parli del tuo approccio, dello stile e dell'etica con cui attacchi le pareti?
Diciamo che per me non c'è un solo modo di fare le cose. Ogni via è diversa e la “zona grigia” è enorme. Ecco perché è importante pensare bene prima di agire. Ma l'opzione migliore è sempre quella di mantenere le cose più pulite possibile. Idealmente quindi niente spit, niente chiodi, niente fettucce, magnesite o resina sulla via. Ma questo è soltanto un ideale che è piuttosto difficile da seguire per la maggior parte dei climbers (me compreso, naturalmente). Ciò che è importante è tenerlo a mente come ideale e di non pensare mai che il proprio modo di arrampicare sia il migliore e l'unico. C'è sempre spazio per l'evoluzione. E l'evoluzione, come la vedo io, dovrebbe indurci a imparare a godere di un'arrampicata con il minimo impatto. L'arrampicata dovrebbe sempre essere come un pellegrinaggio.

E sulle vie esistenti?
L'etica che cerco di rispettare quando tento di liberare una via artificiale aperta da altri è di rispettare il più possibile l'itinerario originale. Il rispetto per me significa mantenerla il più possibile nella stessa maniera in cui è stata aperta. La persona che ha effettuato la prima salita ha fatto una serie di scelte durante l'apertura, per far si che i ripetitori vivano un'esperienza simile alla sua. Per me questa sfida aggiuntiva contribuisce molto al divertimento della libera. Con l'aggiunta di spit, nella maggior parte dei casi si cambia totalmente l'esperienza della scalata che così si riduce quasi sempre a solo aspetto fisico. Questo cambiamento si avverte soprattutto sulle vie artificiali dove le difficoltà sono talmente legate alla qualità delle protezioni e dove entra in gioco il fattore paura. Detto questo, a mio parere, sono per la pulizia di alcuni vie e la rimozione di spit e chiodi quando l'evoluzione dell'attrezzatura non giustifica più il loro utilizzo.

Però a volte lo spit e il chiodo sono necessari per salire...
Quando una linea in artificiale mi sembra impossibile e se posso trovare una variante alla linea originale che può essere salita in libera, tollero l'aggiunta di una minima quantità di spit se non riesco a trovare altri modi per proteggermi - e anche questo è molto soggettivo, visto come certi climber si proteggono per esempio su determinate vie nel Regno Unito. Inoltre la variante deve essere abbastanza distante dalla via artificiale originaria per evitare che gli eventuali ripetitori non possano raggiungere lo spit o confondersi pensando che la via originale passi di lì. Come potete capire, non è sempre chiaro. A volte i propri limiti ti costringono a salire alcuni tiri che fanno paura con alcune protezioni già piazzate, oppure a volte devi semplicemente attendere che arrivi qualcuno più forte o più coraggioso. Solitamente questo rende molto difficile o quasi impossibile una ripetizione dal basso. Mi auguro, e mi aspetto da loro, che altri alpinisti non aggiungano altri spit su queste varianti. Per me mettere uno spit è sempre una forma di debolezza in cui l'alpinista sceglie di ridurre la sfida e l'esperienza che la roccia può offrire.

Allora, a parte la riduzione al minimo dell'uso dello spit, quali sono le tue regole d'oro?
- Il tutto deve essere il più reale possibile, e soprattutto devi farlo per te stesso
- Sta nella propria mente trasformare un fallimento in successo
- La nostra etica non è mai la migliore ed unica.
- Ci sono infinite possibilità ovunque. Sta a noi inventare le sfide. Il gioco arrampicata può essere giocato con molte regole.
- Abbassiamo il nostro ego. Accettare i propri limiti è una cosa di cui si può andare fieri
- Dobbiamo pensare al nostro impatto e alle generazioni future
- Bisogna sempre essere cool
- Divertirsi
- E fare musica.
- E, infine, la cosa più importante. Tenete le ragazze lontano :)

Nico Favresse

Le vie
In genere, la scalata nella zona Upernavick è stata molto avventurosa caratterizzata da un sacco di erba nelle fessure, licheni, gabbiani che hanno spesso vomitato su di noi, pareti che sbucavano fuori direttamente dall'acqua, ma con una roccia (sotto l'erba) davvero di buona qualità. Questo ha reso le salite a-vista molto impegnative, dovendo scavare l'erba per trovare le protezioni (che poi si sono sempre ricoperte di terra), lottare con i gabbiani e preopccuparsi dell'aderenza sulla roccia coperta di licheni. Ogni tiro è sempre stato una vera sfida!
La zona a sud, Cape Farewell è un ambiente più alpino con montagne e ghiacciai ricoperti di guglie di granito. La roccia è veramente pulita con fessure perfette. Alcune vie erano così pulite che non sapevamo se la nostra era una prima salita o la 50a ripetizione. E' stato un bel contrasto dopo le avventure a Upernavick.

Upernavik
2 Luglio: Apertura e prima libera di Red Chili Crackers 350m 5.12- R sulla Red wall (così l'abbiamo chiamata, è la probabile prima salita della parete) - team: Olivier e Sean
2 Luglio: Apertura e prima libera di Seagull’s garden 400m 5.11 sulla Red wall – uno spit piazzato in apertura per proteggere una placca (l'unico spit di tutta la spedizione) - Team: Ben and Nico
6 Luglio: Apertura e prima libera di Brown Balls wall 400m 5.12- (tutta in libera tranne un tratto di 10m bagnato e sporco che in buoni condizioni non sarebbe difficile da liberare) sulla the Brown balls wall (t cosi l'abbiamo chiamato, è la probabile prima salita della parete l) - team: Olivier e Ben i primi 3 tiri, Nico e Sean il resto
11-22 Luglio: Apertura e prima libera di Devil’s brew 850m 5.12+ sulla Impossible Wall (cosi l'abbiamo chiamato, è la probabile prima salita della parete) – 11 giorni/ 3 portaledge camps (nessun spit) – Team: Olivier, Nico, Ben e Sean. Abbiamo raggiunto la cima con tutto il nostro materiale e siamo scesi per l'altro lato della montagna.

Cape Farewell
16 Agosto: Apertura e prima libera di Corned beef 450m 5.11 sulla Shepton Spire (cosi abbiamo chiamato la torre, non siamo sicuri se è la prima salita della torre) poi abbiamo salito una bella cresta che ci ha portato in cima ad un'altra torre sul versante est del Shepton spire. Team: Ben e Sean
16 Agosto: Apertura e prima libera di Condensed milk 450m 5.11 sulla Shepton Spire poi abbiamo salito una bella cresta che ci ha portato in cima ad una'altra torre sul versante est del Shepton spire. Team : Nico e Olivier
20 Agosto: Apertura e prima libera di Never again 500m 5.10 su Angnikitsoq (non siamo sicuri se è la prima salita della parete) – team Bob Shepton, Sean e Nico
21 Agosto: Apertura e prima libera di Chloe 550m 5.11+ OW(offwidth) Angegoq Tower su Quvernit Island poi abbiamo seguito la cresta in cima del Morel Tower poi abbiamo raggiunto la cima di Asiaq Tower - team: Olivier e Sean
August 21: Apertura e prima libera di The Chinese Gibe 550m 5.11+ OW (offwidth) Angegoq Tower su Quvernit Island. Un tiro liberato in toprope dovuto ad una caduta paurosa, poi abbiamo seguito la cresta in cima del Morel Tower poi abbiamo raggiunto la cima di Asiaq Tower – Team: Ben e Nico (abbiamo trovato uno spit e un paio di soste per scendere in doppia sulla parte bassa della parete quindi non sappiamo bene cosa era stata fatto prima di noi, non siamo riusciti a trovare informazione su chi ha piazzato lo spit.)

Grazie agli sponsor: Club Alpino belga, Patagonia, Five Ten, Black Diamond, Petzl, Seeonee, Yeti, Sterling ropes, CarePlus, Milo, Julbo, Brabante Cab, Belclimb.net, Climb.be.


Note:
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