L'insostenibile irresponsabilità nell'affrontare le montagne

Riceviamo e pubblichiamo una breve riflessione/sfogo della guida alpina Enrico Bonino sull'apparente estendersi della disattenzione e della mancanza di consapevolezza di chi senza alcuna cognizione affronta l'ambiente alpino.
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Il Monte Bianco e il suo ghiacciaio
Enrico Bonino

Non so davvero a questo punto se è preoccupazione, sdegno verso il decadimento della razionalità umana, o stupore, o cosa pensare... non lo so più davvero. Posso solo raccontarvi l'ultima della serie, oltre a ciò che troverete nell'articolo pubblicato da 12VDA.

Domenica ore 15: entro nel recinto di sicurezza posto nei pressi del Rifugio Torino di ritorno da un'arrampicata sui Satelliti del Monte Bianco. Passo il primo cancello (il secondo per chi invece parte), entro nel recinto in cui la traccia nevosa ha lasciato spazio a ghiaccio e sassi, e incontro una signora con 3 bambini tra i 3 e i 7 anni circa: tutti rigorosamente vestiti da città, un bambino addirittura con calzature espadrillas. Fin qui, situazione già al limite per via dell'età dei bambini e delle condizioni ghiacciate, mi limito ad osservare. Poi mi avvicino alla signora e la esorto gentilmente a non uscire dal secondo cancello spiegandole che è pericoloso. Questa, stranamente mi ringrazia e prosegue per la sua strada, io per la mia. Poco dopo mi giro dubbioso, e come volevasi dimostrare, la gentil signora esce dal cancello e si avventura sul ghiacciaio lasciando giocare liberi i bambini. Le grido da lontano di rientrare subito nel recinto e tornare in terrazza. Lei ha da ridire, tergiversa, e dopo un pò rientra. I bambini (3 x 1 adulto) camminano a fatica scivolando sul ghiaccio, ma rientrano tutti salvi, ignari (?) del fatto che se anche solo uno fosse scivolato sulla traccia, sarebbe passato sotto alla rete del recinto e poi chissà...

La signora in abiti cittadini e scarpe di cuoio viene verso di me scocciata dicendomi che devo dare credito alle persone, che non tutti sono sprovveduti e che lei è consapevole del pericolo. Le ho purtroppo risposto in modo poco diplomatico che se davvero era consapevole del pericolo, allora doveva esser denunciata per aver consapevolmente messo a rischio la sicurezza dei bambini! Ad un certo punto, gli adulti che non vogliono accendere il cervello per informarsi e per capire, che facciano la fine che devono fare, ma i bambini sono i veri ed unici inconsapevoli, e loro devono essere protetti. Solo questa primavera ho visto la famigliola con bimbo di pochi mesi in carrozzina, lanciarsi sul ghiacciaio (con la carrozzina) sotto la grandine, col papà che esortava la moglie a sbrigarsi che dovevano fare le foto sul ghiacciaio.

Da sempre sono molto sensibile al tema della sicurezza in montagna e della formazione. Ho sempre investito tempo ed energie sia da amatore che da professionista per divulgare il buon comportamento in ambiente montano e assistere a queste situazioni fa male. Ma purtroppo è lo specchio della società attuale e del mondo sportivo odierno. Deresponsabilizzazione e scarsità di valori, comunicazione sterile tramite i social e informazione spazzatura, trasformazione della montagna in palcoscenico di record sportivi ed atletici eticamente lontani dall’ambiente montano, spettacolarizzati e proposti dalle aziende leader per attirare la massa e fare business.

La montagna è di tutti, ma non per tutti. Ricordiamocelo sempre. Il contesto impone regole, conoscenze e pericoli che fan sì che la sua frequentazione non possa esser considerata “semplicemente Sport”. Lo vediamo tutti i giorni a tutti i livelli, dai pro agli amatori ai frequentatori domenicali: la prima cosa che viene riportata sui loro post è il tempo impiegato o la difficoltà superata, non quant’è stato bello condividere un’esperienza tra amici, non il piacere di essere lì per sé stessi e non per un “mi piace” su FB, non per l’emozione di aver raggiunto una vetta, no, quello lo si trova nelle note finali... a volte.

Siamo nell’epoca dell’apparire e non dell’essere, del politically correct e della par-condicio: tutto per tutti indiscriminatamente. Ma se succede qualcosa di sconveniente, se quel bambino con le espadrillas di cui sopra scivola, passa sotto la rete di protezione (che era stata adeguatamente indicata come zona di pericolo, solo per gli addetti ai lavori adeguatamente attrezzati, ecc…) se quel bambino si fa male, magari andremo a denunciare le funivie perché la rete non è abbastanza sicura, non la madre sconsiderata che ha esposto il bambino ad evidente pericolo.

Ora, io non sono portatore di verità alcuna, non ho soluzioni, e non posso decidere cosa sia giusto o sbagliato. Penso però che se la gente, ovviamente per colpa della società e non per colpa sua, è diventata analfabeta, senza capacità di ricezione del pericolo, senza capacità critiche, senza il senso di responsabilità, senza l’umiltà di chiedere, senza la voglia di informarsi. Allora è necessario studiare delle restrizioni per proteggere questo “gregge disperso ed inconsapevole” che, non per colpa sua, mette a rischio la vita dei bambini, dei soccorritori, e di altri rari escursionisti che hanno le competenze per frequentare la montagna. Oggi la disinformazione non è più giustificabile, ma per fare informazione bisogna essere in 2: uno che parla con cognizione di causa e l’altro che ascolta interessato.

Enrico Bonino - Guida Alpina e Maestro di Alpinismo




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