Hervé Barmasse, la Patagonia e tre prime salite invernali

Intervista ad Hervé Barmasse che lo scorso settembre, in Patagonia, ha portato a termine la prima salita invernale del Cerro Pollone insieme a Martin Castrillo, e la prima invernale, nonché prima salita assoluta, sempre con Martin Castrillo a cui si è aggiunto Pedrito il “fino”, di due delle tre vette dei Colmillos nell'area del Cordon Marconi.
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Il colle posto tra il Colmillos centrale e quello di destra
Hervé Barmasse
Hervé Barmasse, sei tornato dalla Patagonia con 3 prime salite invernali di cui 2 sono anche prime assolute. E poi con cos'altro sei tornato? Intendo dire: cosa ti è rimasto più impresso nella memoria...
Certamente l’idea che in Patagonia l’alpinismo invernale sia per nostra fortuna ancora agli albori e che dunque, nei prossimi anni, si possa aprire un nuovo capitolo nella storia di queste montagne. Inoltre il freddo apre anche nuovi orizzonti e rende accessibili vette che d’estate non sono praticabili per l’instabilità della roccia.

Intanto diciamo qual era il tuo progetto alla partenza e, se e come, si è realizzato (pensavi a delle solitarie se non sbaglio?)
L’idea di partenza era di tentare una difficile solitaria su una montagna non ancora salita in questo stile, nemmeno in estate. La motivazione, elemento indispensabile per questo tipo di ascensioni, era altissima, e anche le mie condizioni fisiche, nonostante un lungo stop dovuto a due ernie cervicali, erano finalmente buone. Peccato solamente che in certi casi, motivazione e fisico non possono bastare e così, visto il brutto tempo e le cattive condizioni della montagna, ho dovuto abbandonare il mio progetto, ma anziché anticipare il mio rientro, ho realizzato altre ascensioni. Risultato, tre prime invernali e due cime della zona che sino a quel momento erano ancora inviolate. Per essere la mia prima esperienza invernale in Patagonia, ritengo che il risultato sia comunque buono e che l’esperienza fatta mi abbia aiutato a comprendere meglio limiti e difficoltà dell’inverno in Patagonia per alcuni progetti futuri.

Allora, presentaci e raccontaci la prima delle tue tre salite... come è nata e quali sono stati i punti significativi di questo primo step dal punto di vista "tecnico" e non?
La prima salita è stata l’invernale al Cerro Pollone. Con me Martin Castrillo, un ragazzo conosciuto solo poche ore prima della partenza a El Chalten, durante un’interessante scalata su ghiaccio di fronte al villaggio. Siamo saliti con gli sci dal passo del “Cuadrado” sino alla base della parete sud – che nell’emisfero australe corrisponde a una Nord delle Alpi – dove ci siamo fermati per dormire. Dopo una notte molto fredda - dentro la tenda l’orologio segnava meno 23 gradi - abbiamo raggiunto la cima per quella che è considerata la via normale di questa montagna. La salita, anche se tecnicamente facile, non è stata banale a causa del pericolo di valanghe in tutta la sua prima parte.

Poi cosa è successo, cosa ti ha portato alla seconda salita?
Prima di rientrare in Italia il pronostico meteo lasciava intravedere l’arrivo di una lunga settimana di bel tempo proprio il giorno della mia partenza, che assolutamente non potevo rinviare. Così ho deciso di avvicinarmi alle montagne con il brutto e tentare comunque di scalare, sperando forse di cogliere l’occasione nella giornata di tempo variabile che normalmente anticipa il sole. Non volevo rinunciare senza nemmeno provarci e una volta trovati i compagni di cordata – ancora Martin e Pedrito il “fino”-, abbiamo rivolto le nostre attenzioni a delle cime a sinistra del Cordon Marconi, chiamate Colmillos, che in italiano significano Canini e che ancora aspettavano di essere scalate per la prima volta.

Puoi raccontarci anche queste salite...
Il lungo avvicinamento a queste montagne lo conoscevo bene perché si trovano di fronte alla parete Ovest del Cerro Piergiorgio, salita con Cristian Brenna nel 2008. L’unica grande preoccupazione dopo tante giornate di brutto era la neve abbondante e il rischio di trovare queste cime in pessime condizioni. E in effetti, così è stato. Per nostra fortuna le difficoltà delle salite erano contenute e dopo una lunga giornata di avvicinamento e una notte meno fredda rispetto a quella passata sul Cerro Pollone, lasciati gli sci alla base dei Colmillos, abbiamo salito due di queste tre cime ancora inviolate.

Tre salite... potresti paragonarle tra loro. La più difficile, la più bella e quella che ti è rimasta più nel cuore e perché?
Le salite sono state entrambe belle e anche se dal punto di vista tecnico non sono tra le più difficili. Affrontarle in inverno, significa sfidare comunque pericolo di valanghe, freddo intenso, giornate corte e lunghi avvicinamenti resi più faticosi dalla neve. Inoltre sui Colmillos, trattandosi di una prima ascensione, abbiamo vissuto quei momenti di incertezza che contraddistinguono l’alpinismo esplorativo dove, passo dopo passo, si sale alla ricerca della linea di salita migliore possedendo solo una vaga idea delle difficoltà e dei problemi che si andranno ad incontrare. Non esiste una relazione di una via, sei semplicemente il primo - che non significa necessariamente il migliore - un alpinista molto fortunato, considerato che ai giorni nostri il terreno di gioco per vivere l’alpinismo esplorativo vicino a El Chalten, si è notevolmente ridotto.

La Patagonia e le sue montagne non sono nuove per te, questa è stata la tua quinta volta. Ricordiamo la nuova via sul Cerro San Lorenzo (2006) e la prima salita della NO del Cerro Piergiorgio (2008). Come l'hai ritrovata... sei più cambiato tu o l'aria della Patagonia?
Le montagne sono le stesse ma negli anni sembra proprio che il clima sia cambiato e che le giornate di bel tempo siano aumentate regalando maggiori opportunità agli scalatori. Questa non è un’opinione personale, lo dicono le statistiche; tuttavia penso che il grande cambiamento che ha permesso all’alpinismo patagonico di fare un salto di qualità, dal punto di vista del numero di salite, dell’alto livello tecnico, dello stile e dei tempi di percorrenza delle vie “classiche”, sia dato principalmente dall’avvento del pronostico meteo. Conoscere quando e quanto tempo hai a disposizione per scalare, significa muoversi leggeri, anche senza corde fisse, dimezzando i tempi di salita; significa scegliere gli obiettivi in base alle giornate di sole, e quando il tempo è brutto, rilassarsi in paese, al caldo e all’asciutto con tutte le comodità di casa. Il periodo dell’assedio alle montagne, almeno per ora, fa parte del passato. Ricordiamo però che quello che la tecnologia da una parte ci ha regalato, dall’altra ci ha tolto. Per gli alpinisti, l’avventura e il fascino di queste montagne, oltre che dalle forme spettacolari di queste torri di granito, erano dati soprattutto dall’idea che sarebbe stato impossibile raggiungere facilmente i propri obiettivi, proprio a causa del brutto tempo e dell’impossibilità di avere un pronostico meteo. Oggi sicuramente il concetto dell’impossibile si è ridimensionato, esattamente come quello di fascino e avventura.

E lo "spirito" della comunità alpinistica della Patagonia come l'hai trovata?
Se ci riferiamo al Cerro Torre e alle vicende passate, come ad esempio la schiodatura della via Maestri, direi che l’aria che si respira a El Chalten non è delle migliori. Il paese e la sua gente si aspettano ancora oggi delle scuse dalla comunità alpinistica straniera che ha premiato quel gesto. Provano rancore, rabbia e tanta delusione. Le riflessioni fatte da alcuni amici del club andino e alpinisti della zona potrebbero aprire un interessante dibattito che sono sicuro farebbero cambiare idea a molte persone. Personalmente penso sarebbe una grande opportunità per tutta la comunità alpinistica.

Nel "mondo globale" sembra che anche le montagne siano un po' tutte uguali e raggiungibili, ma anche che non esistano più le imprese. Tu che ne pensi, anche rispetto all'alpinismo del tuo futuro prossimo?
Le grandi salite del giorno d’oggi sono spesso rivalutazioni o esaltazioni di grandi imprese del passato e forse per questo il concetto “dell’impossibile” si è drasticamente ridimensionato. Difficilmente oggi sentiamo dire che una parete, una cresta o una montagna è impossibile, ma sono altrettanto convinto che la montagna possa regalare ancora grandi imprese e far sognare. A volte è molto semplice, basta togliere un po’ di tecnologia, scegliere le stagioni più fredde, ricercare la solitudine, non seguire le mode del momento e ancor meno i numeri. Il mio alpinismo del futuro? Spero di stupire me stesso, divertirmi e condividere un pensiero comune che era alle origini dell’alpinismo e che oggi abbiamo dimenticato. La montagna come luogo dove l’uomo ama sfidare se stesso e non il posto dove sfidare o confrontarsi con un altro alpinista.




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