Giù la testa, nuova via di più tiri in Lagorai, Dolomiti
Il racconto di Peter Moser di Giù la testa (350m VIII / VIII+), una difficile nuova via di più tiri aperta nel 2014 in stile trad nel gruppo del Lagorai, Dolomiti, insieme a Thomas Ballerin, Iwan Canins e Roberto Ronzani.
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Durante l'apertura di Giù la testa, Lagorai, Dolomiti (350m VIII / VIII+, Peter Moser, Thomas Ballerin, Iwan Canins, Roberto Ronzani 2014)
archivio Peter Moser
Ci sono vie che ci rappresentano, hanno carattere, ti fanno provare emozioni, per salirle devi corteggiarle, dimostrargli il tuo coraggio, odiarle ma allo stesso tempo amarle in modo totale. Questa via rappresenta tutto ciò che cerco nell’alpinismo, semplice e pura avventura fatta di rischi, speranze, bestemmie ma alla fine una birra tremendamente saporita a fine giornata! Su questa parete sono stato costretto a tornare più volte a causa del cattivo tempo. Mi ha imposto, a 25 metri dalla vetta, di fuggire sotto una grandinata memorabile a suon di doppie. Con le sue lame si è mangiata le mie corde nuove fiammanti mozzandone una. Addirittura il gesto di fissare una corda come fissa la sera per risparmiare tempo il giorno seguente non è stata giudicato degno di un buon corteggiamento, facendomi cosi scoprire dopo più di 40 metri di risalita nel vuoto più totale che della corda erano rimasti solo tre miseri refoli rosicchiati a cui affidare tutto il mio peso in quel pesantissimo abisso sottostante. Eppure la rispettavo, non volevo compromessi per averla, solo chiodi e protezioni mobile comprese anche le soste.
Ho la fortuna di avere molti buoni amici e sarà che bene o male son tutti bevitori a volte riesco a convincerli nel seguirmi in questi progetti. E così ad assistere al mio corteggiamento fatto di avvicinamenti eterni, martellate, corde tranciate e arrampicata su blocchi instabili grandi come frigoriferi sempre incombenti sulle soste, c’erano in un primo tentativo Thomas e Roberto, poi Iwan, Michele e Andrea. Ogni qualvolta salivamo il maltempo si accaniva costringendoci a ritirate in doppia lungo il grande diedro che per l’occasione si trasformava in un efficacissimo imbuto convogliandoci addosso sassate e fiumi d’acqua.
Solo alla fine il meteo ci regala una splendida giornata e probabilmente mossa da compassione per un povero innamorato mi lascia salire l’ultimo tiro a patto di riuscire a fare il giocoliere tra i blocchi pronti a scattare verso i miei compagni appesi nella sottostante sosta. Metto i piedi sulla cima, pianto un paio di chiodi e inizio a recuperare i miei compagni. Mi guardo attorno, le Pale e le cime del Lagorai sembrano ancor più belle oggi, la tenda si vede piccola tra i prati alla base della parete. Penso alle bottiglie stappate la sera , i fornelletti perennemente rotti e la tenda da campeggio marino aperta in due dalle raffiche di vento da nord, le risate con gli amici e il tempo passato assieme su quella parete. Alla fine sono in cima, ma ciò che importa di più a me è che ho vissuto la mia avventura lontano da regole e lontano da tutto e tutti e la scusa per viverla l’ho trovata salendo un diedro disperso nel cuore del Lagorai.
Ho la fortuna di avere molti buoni amici e sarà che bene o male son tutti bevitori a volte riesco a convincerli nel seguirmi in questi progetti. E così ad assistere al mio corteggiamento fatto di avvicinamenti eterni, martellate, corde tranciate e arrampicata su blocchi instabili grandi come frigoriferi sempre incombenti sulle soste, c’erano in un primo tentativo Thomas e Roberto, poi Iwan, Michele e Andrea. Ogni qualvolta salivamo il maltempo si accaniva costringendoci a ritirate in doppia lungo il grande diedro che per l’occasione si trasformava in un efficacissimo imbuto convogliandoci addosso sassate e fiumi d’acqua.
Solo alla fine il meteo ci regala una splendida giornata e probabilmente mossa da compassione per un povero innamorato mi lascia salire l’ultimo tiro a patto di riuscire a fare il giocoliere tra i blocchi pronti a scattare verso i miei compagni appesi nella sottostante sosta. Metto i piedi sulla cima, pianto un paio di chiodi e inizio a recuperare i miei compagni. Mi guardo attorno, le Pale e le cime del Lagorai sembrano ancor più belle oggi, la tenda si vede piccola tra i prati alla base della parete. Penso alle bottiglie stappate la sera , i fornelletti perennemente rotti e la tenda da campeggio marino aperta in due dalle raffiche di vento da nord, le risate con gli amici e il tempo passato assieme su quella parete. Alla fine sono in cima, ma ciò che importa di più a me è che ho vissuto la mia avventura lontano da regole e lontano da tutto e tutti e la scusa per viverla l’ho trovata salendo un diedro disperso nel cuore del Lagorai.
Per quanto riguarda la via è obiettivamente fantastica e rappresenta una delle vie più impegnative dell’intero gruppo montuoso. La seconda lunghezza impone un arrampicata molto tecnica di precisione dapprima in placca poi su un muro strapiombante. Poi la linea ricerca sempre di sfruttare l’enorme diedro offrendo dei tiri meravigliosamente estetici in fessura. Lo stile è rigorosamente trad e questa via vuol essere uno stimolo per altri apritori di queste zone nel ricercare la propria avventura. Le soste di calata sono attrezzate a chiodi e cordoni. Molti dei massi instabili sono stati buttati a valle ma la via richiede comunque una notevole capacità alpinistica.
di Peter Moser
SCHEDA: Giù la testa, Lagorai, Dolomiti
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