Cresta di Rochefort più traversata delle Jorasses in velocità per Denis Trento
Probabilmente non servirebbe introdurre questo report di Denis Trento, guida alpina e atleta (anzi campione) delle competizioni di sci alpinismo. Ma vogliamo ancora una volta ribadire che cavalcate come quella di Trento - che sul Massiccio del Monte Bianco ha percorso in poco meno di 9 ore e mezza la cresta di Rochefort e la traversata delle Grandes Jorasses, partendo e ritornando al Rifugio Torino - non sono da... "imitare". Non perché, come qualcuno afferma, "banalizzerebbero" la montagna e l'alpinismo, ma perché per essere affrontate hanno bisogno, oltre che di una preparazione fisica enorme, soprattutto di una consapevolezza, esperienza e motivazione che vanno ben aldilà dei pure grandi risultati cronometrici. Insomma, quelle 9 ore e 30 (al posto dei 2 o 3 giorni "normali" impiegati da un buon alpinista) presuppongono non solo un impegno fisico e mentale non comuni, ma anche una grande conoscenza unita ad una visione e un'attenzione assolutamente pura nei confronti della montagna. Senza ciascuna di queste componenti nulla di tutto ciò sarebbe possibile, anzi sarebbe oltremodo pericoloso. Così, a ben guardare, anche questo modo di vivere e percorrere "in velocità" la montagna fa parte di quelle esperienze e di quella ricerca dei limiti e di se stessi che poi rappresentano la stella cometa dell'alpinismo, oltre i record e le imprese.
Cresta di Rochefort più traversata delle Jorasses e la scoperta dei propri limiti. Di Denis Trento
In questa fine estate di meteo e condizioni spaziali Fb trabocca di post su salite di ogni genere. Tra questi, il mio non è nient'altro che l'ennesima foto di un pellegrino più o meno felice e/o stanco in cima ad una montagna, accompagnata da qualche riga di frasi di circostanza. Detto questo, è sempre molto utile analizzare a freddo una salita, anche se non è facile tradurre in parole cosa comporta in termini di ingaggio, impegno, fatica, soddisfazione, fare da solo e in poche ore una salita che a molti richiederebbe 3 giorni.
Tutto ha inizio con l'ispirazione. Quest'ultima nasce dalla bellezza di una salita, dalla curiosità di scoprire i propri limiti, ma in questo caso anche da due parole scambiate per caso con Ueli Steck qualche giorno prima. Ne segue un complicato processo di riflessione che consiste più che altro nel tentare di giustificarsi la volontà di fare una "cagata" del genere, che potrebbe anche portare a conseguenze nefaste. In quest'occasione purtroppo alcuni brutti incidenti avevano aggiunto peso sul piatto del "ma dove cavolo vuoi andare?!" della bilancia.
Tutti abbiamo la consapevolezza assoluta di essere in grado di fare questo o quello, ma quasi sempre abbiamo degli ottimi motivi per non andare a verificare sul campo la realtà dei fatti. Alcuni però faticano a convivere col dubbio. Purtroppo a me succede più spesso di quello che vorrei. Poi, una volta deciso di andare, tutto lo spazio viene lasciato all'azione.
Prepara lo zaino, i vestiti, il mangiare, il bere: troppo peso, ma tanto hai fisico.. Metti la sveglia alle 2 (ma come sempre non servirà), fai colazione, salta in macchina, spiega ai carabinieri che ti fermano a quell'ora che stai partendo in montagna, metti le scarpe e parti.
Correre in discesa da Planpincieux a La Palud è il peggiore dei riscaldamenti, soprattutto per uno che non corre da più di un anno. La salita al Torino va via veloce fino agli ultimi 200m, poi la stanchezza inizia a fare riaffiorare il dubbio: lo zaino pesa troppo, sono scarso, se sono già stanco qui dove cavolo voglio andare, ecc.. Cambiarmi (con i vestiti che avevo nello zaino), una coca e una crostata contribuiscono a riportare la motivazione sopra il livello minimo necessario a ripartire, ma fino al Dente il mio cervello sarà impegnato a reprimere la tentazione di lasciare perdere.
Una volta messo piede sulla Rochefort mi torna in mente il perchè mi trovo lì e qual è il mio obiettivo. La parte della cresta è quella di cui ho meno da raccontare, tutto scorre via velocemente, come avevo immaginato nella mia testa. Nemmeno il tintinnio della mia picozza che rotola giù sul ghiacciaio del Mont Mallet, dopo essere uscita inspiegabilmente dal moschettone dove l'avevo assicurata, riesce distogliermi da quello che sto facendo. Con le condizioni attuali me la sarei cavata anche senza, ma visto che tra le cordate partite dal Canzio i secondi attrezzi abbondavano, sono riuscito a convincere un tedesco che per scendere dalla normale una picca a lui poteva bastare e che se prestava l'altra a me sarebbe stato pure più leggero.
Il resto della salita lo passo nella mia bolla di concentrazione: non esistono più precipizi, fatica, paura. Tutta la mia realtà è compressa nella routine dell'arrampicata. La sveglia arriva col caldo e il mal di gambe in discesa. Come chi fa questo di mestiere, ho cercato di corricchiare scendendo, ma a differenza loro, io ero in assetto scarponi e pantaloni da montagna, col mio amato zainetto sulla schiena. Chi mi ha visto passare sul sentiero si sarà chiesto che problemi avevo, ma anche io mi sono fatto parecchie domande in quel frangente. Per fortuna la chiesetta di Planpincieux non si è fatta attendere troppo.
11 ore sono un tempo lunghissimo o cortissimo a seconda di quel che si sta facendo. Esaminando la mia salita, sono convinto che Kilian (Kilian Jornet Burgada ndr) o Steck potessero stare comodamente intorno alle 9 ore: durante la giornata con le varie soste ai rifugi sono stato fermo per quasi un'ora. Togliendo qualche kg dallo zaino e dai piedi si può guadagnare qualcosa in salita, molto in discesa ed essere più freschi durante tutta la traversata. Fare i due "tirelli" della Young slegato farebbe guadagnare altri 20 minuti minimo, ma scalare autoassicurato in quella sezione è il minimo che devo ai miei due bimbi.
Con pochissima motivazione, ma con le convinzioni di cui sopra ben stampate nel cervello, provo a rifare un tentativo. Questa volta, per motivi di lavoro, mi trovo costretto a partire e tornare al rifugio Torino. Avrò 2000m di salita sotto un sole cocente per pentirmi di questa scelta. Le mie sensazioni però si rivelano corrette: annullando i tempi morti e spingendo nelle sezioni più facili mi ritrovo davanti al mio amato rifugio in poco meno di 9 ore e mezza.
Lungi da me avere la sensazione di aver fatto un exploit: negli anni ottanta ci sono stati alpinisti del calibro di Profit e compagnia bella, che hanno concatenato vie di difficoltà incredibili in poche ore. È stato comunque molto divertente provare a mettersi nei panni di Kilian, tra l'altro approfittando della sua assenza per ottenere un po' di visibilità. Non appena Kiki avrà "banalizzato" la salita dell'Everest, il mio post tornerà ad essere solo una faccina in cima ad una montagna in mezzo a tante altre.
Denis Trento
Il tour Rif.Torino / Rochefort / Jorasses / Boccalatte / Planpincieux / Rif.Torino
La seconda volta ho dovuto cambiare la sequenza del giro: dato che ero al Torino, (quest'estate aiuto un po' il gestore, che è mio suocero) ho fatto che partire da qui e tornare qui, via Rochefort/Jorasses/Boccalatte/Planpincieux, a piedi chiaramente per la distanza di 21,2 km e 3487m di dislivello.
Questa volta sono stato appena sotto le 9 ore e mezza. Per la cronaca: 1h 15 per la Rochefort, 1h 40 Dome de Rochefort, 2h 15 Calotte, 2h 40 Canzio, 4h P.ta Margherita, 4h 50 P.ta Walker, 6h 10 Rif. Boccalatte, 6h 55 Planpincieux e poi ho strisciato fino al Rifugio Torino (9h 27) con un caldo da Marathon des Sables. Non ho salito il Dente del Gigante.
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