Cima Grande della Scala, prima invernale della Lomasti - Mazzillis per Vuerich e Laurencig
Il 13 e 14 marzo 2009 Luca Vuerich e Massimo Laurencig hanno messo a segno la prima invernale della difficile Fessura Lomasti (400m, VI, pass. di VIII-) sull'anticima nord della Cima Grande della Scala (Val Riofreddo, Alpi Giulie).
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Sui primi tiri
arch. L. Vuerich
Ci sono alpinisti che rimangono come sottotraccia nella memoria. Uno di questi è senz'altro Ernesto Lomasti, friulano di Pontebba morto nel 1979, appena 19enne, colpito da un fulmine mentre saliva in solitaria la Via del topo pazzo alla 'Gruviera' di Arnaud . Lomasti è stato un vero “marziano” dell'alpinismo degli anni '70. Meglio è stato un vero esploratore, uno di quei rari alpinisti di allora che spostarono il limite in avanti anticipando, e rendendo possibile, la “rivoluzione” degli anni '80. Lo provano le sue innumerevoli e “pesantissime” salite, molte in solitaria, sulle Alpi Giulie ma non solo. Basti pensare alla prima ripetizione e alla prima solitaria del Diedro Cozzolino al Piccolo Mangart di Coritenza o alla via aperta in solitaria ancora sul Piccolo Mangart. Allora i gradi di difficoltà arrivavano fino al numero 6 e lì si bloccavano. Lomasti seppe superare di gran lunga quella soglia, in un'epoca in cui ai piedi si portavano gli scarponi e le moderne scarpette d'arrampicata erano ancora sconosciute. Lo prova, se mai ce ne fosse stato bisogno, anche questa prima invernale di Luca Vuerich e Massimo Laurencig sulla Fessura Lomasti alla Cima Grande della Scala, aperta da Ernesto Lomasti e Roberto Mazzillis - altro grandissimo dell'alpinismo - nel 1978. Dopo questa prima invernale ma (badate bene) anche probabile terza salita, Vuerich e Laurencig propongono il grado di VI° continuo con passaggi di VIII- al posto del V, VI e VI+ dei primi salitori. Ma non è solo una questione di numeri. Piuttosto è la riprova di come il progresso nell'alpinismo passi sempre per ricerche “visionarie” che è difficile, se non impossibile, inquadrare nella loro giusta misura al tempo in cui si compiono. Ad Ernesto Lomasti, Luca Beltrame ha dedicato un bel libro “Non si torna indietro" (Vivalda Editori, 2008). E sempre ad Ernesto Lomasti ed Ignazio Piussi, Luca Vuerich ha dedicato questa prima invernale per l'ispirazione che gli hanno dato. Ecco, aldilà dei gradi, gli alpinisti come Lomasti indicano la strada che rimane dentro di noi, appunto sotto-traccia. (di Vinicio Stefanello)
NON SI TORNA INDIETRO
Ad Ernesto Lomasti ed Ignazio Piussi che hanno lasciato una traccia importante nel mio modo di salire le montagne.
di Luca Vuerich
Non si torna indietro è il titolo del libro scritto su Ernesto Lomasti ma potrebbe tranquillamente essere il nome “moderno” della via da lui aperta assieme a Roberto Mazzillis sulla cima del Vallone nel 1978. Ernesto Lomasti è stata una meteora che ha illuminato il mondo alpinistico delle Alpi Giulie che però troppo presto si è spenta nella palestra di roccia di Arnad in val d'Aosta. Nella sua breve carriera è riuscito a segnare in maniera indelebile la scena alpinistica delle Alpi Giulie e per Ignazio Piussi, sempre troppo modesto, Lomasti è stato il miglior alpinista Friulano di sempre.
Ho salito quasi tutte le vie di Ernesto ma questa, assieme al forte Massimo Laurencig è secondo me la più impegnativa che questo giovane alpinista abbia mai salito, sia a livello tecnico sia a livello psicologico. Questa linea era stata già tentata da alpinisti del calibro di Celso Gilberti, Emilio Comici, Ignazio Piussi ed Enzo Cozzolino ma nessuno si era spinto oltre il primo tiro, da li in poi non si torna più indietro, la fessura comincia a traversare in strapiombo verso destra per circa 300 metri.
Lomasti e Mazzillis con una corda da 40 metri, quindici chiodi e 4 anni di esperienza alpinistica in due non tornarono indietro e dopo 9 ore sbucarono sulle facili placche per poi decidere di ridiscendere lungo il facile spigolo nord. La cima non era importante, la fessura ormai portava il nome di due ragazzi che secondo me con questa salita sono entrati nella storia dell'alpinismo. Conosco questa fessura dal 1997, quando lavoravo al rifugio Pellarini, anche io poco più che ventenne volevo cimentarmi con la fessura Lomasti – Mazzillis, più volte negli anni ci sono passato sotto e ogni volta tornavo a casa con il torcicollo mille pensieri e nessun compagno pronto a seguirmi..vari i commenti alla mia inutile domanda..ma sei matto, su quel marcione, neanche se mi paghi..
Nel 2009 finalmente trovo uno come me che ha tanta voglia di queste cose “ingaggiose”. Massimo Laurencig l'ho conosciuto durante il corso per Guida Alpina, quando gli mando una mail con la foto senza troppe spiegazioni è entusiasta della mia idea, dobbiamo solo decidere quando. Partiamo con la calma nel pomeriggio di giovedì 12 marzo ed in tre ore arriviamo alla base dove c'è un comodo posto per bivaccare proprio sotto la via, al riparo dalle “bombe” di neve e roccia che cadono durante il giorno. Il 13 decidiamo di salire almeno 150 metri, attrezzare con corde fisse e ridiscendere per poi il giorno seguente salirla tutta.
Parte Max, dice che bisogna fare così per scaramanzia..non protesto e lascio a lui i primi tiri e per non stancarci inutilmente viste le difficoltà io risalgo in jumar, quando Max inizia a stancarsi visto il livello psicologico dei tiri è il mio turno. Calzo le scarpette e attacco un camino fessura svaso e liscio, riesco a piazzare un dado psicologico e guadagno metri preziosi, poi si traversa proprio sul filo della fessura diedro, guardo fuori, vuoto e strapiombo, lo stomaco si chiude, sistemo un friend ed un chiodo e mi lancio alla cieca su una paretina strapiombante, per fortuna la roccia qui è decente e riesco ad arrivare in sosta su un terrazzo con neve, l'unica che è riuscita ad aggrapparsi sulla via.
Tocca ancora a me, il tiro chiave della via, trovo due friend con rinvio, qualcuno ha provato ma deve essere volato visto che sopra non abbiamo trovato più niente..preoccupante..salgo il muro strapiombante che è dato 6+...secondo noi almeno 6c, impossibile da salire in artificiale..vado su solo perché so che sono passati altri prima di me, in quel momento mi è venuto in testa che dovevo dedicare qualche giornata in più al mio pannello, stupidi pensieri appeso a stupide prese, guardo i chiodi mezzi fuori che non terrebbero neanche un metro di volo..stupido io e stupide le mie idee..via prima di cambiare idea..uscita sul marcio, pianto un chiodo, preparo una sosta e basta così.. Quando mi raggiunge Max ci guardiamo, non abbiamo quasi parole..il difficile dovrebbe esser sotto e decidiamo di scendere, siamo stanchi ma contenti, in tenda disidratati ed affamati ci rifocilliamo e ci addormentiamo quasi subito.
La mattina risaliamo le corde, i primi pendoli nel vuoto sulla statica da 8 millimetri ci lascia senza fiato poi diventa tutto normale. Raggiungiamo il punto di ieri, la relazione di Lomasti dice che da lì in su è facile... purtroppo per noi non è così. Salgo leggero con la mente, oggi toccano a Max i tiri duri..diedri lisci impiastrati di neve, fessure strapiombanti e neve nelle parti più appoggiate sono il bilancio della giornata di sabato.
E’ pomeriggio ma ormai è fatta, siamo sulle placche finali, Lomasti e Mazzillis nel ’78 in questo punto deviarono verso destra per scendere in doppia lo spigolo Nord. Noi decidiamo di scendere per la stessa via anche perché avevamo lasciato tutte le soste pronte in caso di ritirata, e con un po’ di numeri da circo riusciamo ad arrivare alla base, liberiamo la mente appena toccata la base, stanchi ma felici di aver ripetuto questa linea così marcia e pericolosa ma carica di quel fascino che solo certe vie sanno dare.
Cima Grande della Scala, anticima nord.
Via: Fessura Lomasti – Mazzillis (salita a comando alternato)
Lunghezza: 400 metri
Difficoltà (secondo noi): VI continuo con passaggi di VIII-
Difficoltà (dei primi salitori): V VI e VI+ ??
Prima salita invernale: (forse terza salita) : Luca Vuerich e Massimo Laurencig 13-14 marzo ‘09
NON SI TORNA INDIETRO
Ad Ernesto Lomasti ed Ignazio Piussi che hanno lasciato una traccia importante nel mio modo di salire le montagne.
di Luca Vuerich
Non si torna indietro è il titolo del libro scritto su Ernesto Lomasti ma potrebbe tranquillamente essere il nome “moderno” della via da lui aperta assieme a Roberto Mazzillis sulla cima del Vallone nel 1978. Ernesto Lomasti è stata una meteora che ha illuminato il mondo alpinistico delle Alpi Giulie che però troppo presto si è spenta nella palestra di roccia di Arnad in val d'Aosta. Nella sua breve carriera è riuscito a segnare in maniera indelebile la scena alpinistica delle Alpi Giulie e per Ignazio Piussi, sempre troppo modesto, Lomasti è stato il miglior alpinista Friulano di sempre.
Ho salito quasi tutte le vie di Ernesto ma questa, assieme al forte Massimo Laurencig è secondo me la più impegnativa che questo giovane alpinista abbia mai salito, sia a livello tecnico sia a livello psicologico. Questa linea era stata già tentata da alpinisti del calibro di Celso Gilberti, Emilio Comici, Ignazio Piussi ed Enzo Cozzolino ma nessuno si era spinto oltre il primo tiro, da li in poi non si torna più indietro, la fessura comincia a traversare in strapiombo verso destra per circa 300 metri.
Lomasti e Mazzillis con una corda da 40 metri, quindici chiodi e 4 anni di esperienza alpinistica in due non tornarono indietro e dopo 9 ore sbucarono sulle facili placche per poi decidere di ridiscendere lungo il facile spigolo nord. La cima non era importante, la fessura ormai portava il nome di due ragazzi che secondo me con questa salita sono entrati nella storia dell'alpinismo. Conosco questa fessura dal 1997, quando lavoravo al rifugio Pellarini, anche io poco più che ventenne volevo cimentarmi con la fessura Lomasti – Mazzillis, più volte negli anni ci sono passato sotto e ogni volta tornavo a casa con il torcicollo mille pensieri e nessun compagno pronto a seguirmi..vari i commenti alla mia inutile domanda..ma sei matto, su quel marcione, neanche se mi paghi..
Nel 2009 finalmente trovo uno come me che ha tanta voglia di queste cose “ingaggiose”. Massimo Laurencig l'ho conosciuto durante il corso per Guida Alpina, quando gli mando una mail con la foto senza troppe spiegazioni è entusiasta della mia idea, dobbiamo solo decidere quando. Partiamo con la calma nel pomeriggio di giovedì 12 marzo ed in tre ore arriviamo alla base dove c'è un comodo posto per bivaccare proprio sotto la via, al riparo dalle “bombe” di neve e roccia che cadono durante il giorno. Il 13 decidiamo di salire almeno 150 metri, attrezzare con corde fisse e ridiscendere per poi il giorno seguente salirla tutta.
Parte Max, dice che bisogna fare così per scaramanzia..non protesto e lascio a lui i primi tiri e per non stancarci inutilmente viste le difficoltà io risalgo in jumar, quando Max inizia a stancarsi visto il livello psicologico dei tiri è il mio turno. Calzo le scarpette e attacco un camino fessura svaso e liscio, riesco a piazzare un dado psicologico e guadagno metri preziosi, poi si traversa proprio sul filo della fessura diedro, guardo fuori, vuoto e strapiombo, lo stomaco si chiude, sistemo un friend ed un chiodo e mi lancio alla cieca su una paretina strapiombante, per fortuna la roccia qui è decente e riesco ad arrivare in sosta su un terrazzo con neve, l'unica che è riuscita ad aggrapparsi sulla via.
Tocca ancora a me, il tiro chiave della via, trovo due friend con rinvio, qualcuno ha provato ma deve essere volato visto che sopra non abbiamo trovato più niente..preoccupante..salgo il muro strapiombante che è dato 6+...secondo noi almeno 6c, impossibile da salire in artificiale..vado su solo perché so che sono passati altri prima di me, in quel momento mi è venuto in testa che dovevo dedicare qualche giornata in più al mio pannello, stupidi pensieri appeso a stupide prese, guardo i chiodi mezzi fuori che non terrebbero neanche un metro di volo..stupido io e stupide le mie idee..via prima di cambiare idea..uscita sul marcio, pianto un chiodo, preparo una sosta e basta così.. Quando mi raggiunge Max ci guardiamo, non abbiamo quasi parole..il difficile dovrebbe esser sotto e decidiamo di scendere, siamo stanchi ma contenti, in tenda disidratati ed affamati ci rifocilliamo e ci addormentiamo quasi subito.
La mattina risaliamo le corde, i primi pendoli nel vuoto sulla statica da 8 millimetri ci lascia senza fiato poi diventa tutto normale. Raggiungiamo il punto di ieri, la relazione di Lomasti dice che da lì in su è facile... purtroppo per noi non è così. Salgo leggero con la mente, oggi toccano a Max i tiri duri..diedri lisci impiastrati di neve, fessure strapiombanti e neve nelle parti più appoggiate sono il bilancio della giornata di sabato.
E’ pomeriggio ma ormai è fatta, siamo sulle placche finali, Lomasti e Mazzillis nel ’78 in questo punto deviarono verso destra per scendere in doppia lo spigolo Nord. Noi decidiamo di scendere per la stessa via anche perché avevamo lasciato tutte le soste pronte in caso di ritirata, e con un po’ di numeri da circo riusciamo ad arrivare alla base, liberiamo la mente appena toccata la base, stanchi ma felici di aver ripetuto questa linea così marcia e pericolosa ma carica di quel fascino che solo certe vie sanno dare.
Cima Grande della Scala, anticima nord.
Via: Fessura Lomasti – Mazzillis (salita a comando alternato)
Lunghezza: 400 metri
Difficoltà (secondo noi): VI continuo con passaggi di VIII-
Difficoltà (dei primi salitori): V VI e VI+ ??
Prima salita invernale: (forse terza salita) : Luca Vuerich e Massimo Laurencig 13-14 marzo ‘09
Note:
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