Asso di Picche, la speciale cascata di ghiaccio in Nevegal di Santiago Padrós e Valter Salvadori
"Con te andrei in capo al mondo, sia da amico che da cliente." Una frase che ho ripetuto più di una volta a Santi, mai avrei immaginato che l’avventura più incredibile con lui, la vivessi proprio qui, fuori dalla porta di casa.
Abito nelle Prealpi Bellunesi, dalle creste del “mio”colle ammiro sia Venezia che la Marmolada. Il Nevegàl è molto frequentato per la possibilità di praticare le svariate attività invernali o le escursioni estive, ma apprezzato anche per la sua posizione panoramica.
Durante la stagione invernale, divento un addetto agli impianti di risalita, tutti i giorni salgo con le pelli, e tutti i giorni vedo lo stesso panorama; non ti stufi mai, perché è come guardare la persona amata, vai a cercare le sfumature dei tramonti, le rughe delle penombre, la sinuosità delle sue forme. Ed è proprio cercando sempre con lo sguardo qualcosa di nuovo, che noto dei pezzi di ghiaccio attaccati ad una parete ad un paio di chilometri in linea d'aria.
Per ben tre inverni l’ho tenuta d'occhio, ma o rimaneva distinta in tre tronconi, oppure si formava a febbraio, quando ormai il sole la riscaldava troppo, la posizione infatti è ad est a circa 750 metri di quota.
Quest’anno, l'inverno è di quelli veri e l'11 gennaio decido di mandare una foto a Santi, si vede benissimo che non tocca a terra, ma la linea è seducente, gli dico anche, che per me è inviolata e lui mi risponde super entusiasta: "mettiamoci d’accordo che la prossima settimana l’apriamo."
Nove giorni dopo, il 20/01/2021 ci troviamo per decidere se arrivare all’attacco da sopra o da sotto, più ci avviciniamo con l’auto e più ci appare chiaro che la soluzione meno incasinata è da sopra. Parcheggiamo l’auto in una proprietà privata, lasciando ben visibile un biglietto di scuse per l'intrusione, spediamo il drone a filmare il percorso, ci addobbiamo e partiamo con le ciaspole nel bosco fitto.
Raggiunto il vertice attrezziamo una sosta e ci caliamo, mentre sento Santi che corteggia con commenti meravigliati la struttura, io rimango senza parole. Forme incredibili di fiori, cavolfiori, carciofi, candelabri... mi chiedo come si può salire senza rovinarla, senza rompere niente, sembra l’isola di Murano dove se ti giri con lo zaino devasti un negozio di vetro soffiato.
Messo da parte lo stupore si inizia con l’affrontare questa delicata meraviglia.
Quando arrampico con Santi, osservo sempre i suoi movimenti, il suo partire deciso come se già sapesse come risolvere l’enigma. Silenzio totale mentre lo assicuro per i primi dieci metri da fiato sospeso, si muove come un felino su un lampadario di cristallo, le viti che entrano nel vuoto mi fanno ricordare che la base a terra si è attaccata due giorni prima. Quando si rende conto che il peggio è passato, arriva l’urlo liberatorio, solo allora inizio a fare le foto.
Riparte per altri venti metri prima di attrezzare una sosta per spezzare la tensione, poi è il mio turno, consapevole che per questo tratto delicato verticale e anche un pò strapiombante dovrò metterci tutta la forza, la determinazione e la volontà, per portare a termine quest’avventura.
Passato quel tratto dove non ricordo nulla, sopra è ancora dura, ma ormai sono in ballo e mai mi sarei fatto parancare, tiro come una bestia fino alla sosta, cercando le fessure, e battere il meno possibile.
La sosta è comoda, ancora lunghi momenti di attenzione su un passaggio verticale e poi quando Santi sparisce dalla mia vista, aspetto il momento in cui vedrò le corde fermarsi. Tocca a me, ancora qualche metro di verticale, dove mi brucio per togliere le viti, e inizio a vedere la macchina fotografica di Santi che mi scatta decine di foto dalla sosta prima del tratto facile. All’improvviso sento un botto nella struttura, Santi dalla sosta mi dice di battere più piano, ma ero fermo, non sono stato io gli rispondo. Accelero un pò per arrivare il prima possibile alla sosta su chiodo.
Sull'ultimo tiro facile mi svuota la testa e penso a tutti gli anni trascorsi in questi luoghi selvaggi, alle poche persone che abitano questa valle, tanto amata dallo scrittore Dino Buzzati, con il Gruppo Dolomitico della Schiara che domina Belluno, a questa cascata proprio alle sue porte, mi faccio prendere dall’emozione per questo regalo che solo un amico come Santi te lo può porgere nel piatto. Il nome Asso di Picche mi è venuto spontaneo, l’Asso in questione è lui, le Picche sono i suoi artigli.
Circa cinque ore è durato in totale questo viaggio, dove ho alternato attenzione per la salita a sguardi nella sottostante valle del torrente Cicogna, dove anni fa portavo le mie figlie a fare il bagno d’estate. Grazie!
Valter Salvadori
SCHEDA: Asso di Picche, Nevegal, Dolomiti Bellunesi