Elbec e Mariapia Ghedina: psicologa, snowboarder, climber e volontaria del soccorso alpino
Inizia con Mariapia Ghedina una serie di interviste ad alcune persone a noi particolarmente vicine che utilizzano i nostri prodotti da anni. Si tratta di tester, di atleti, di alpinisti, di semplici clienti che condividono con noi la stessa visione. Un modo di sentirsi più vicini, di creare una comunità e capire chi indossa le nostre calze in lana merinos e i nostri berretti fatti mano in Dolomiti. Le interviste sono a cura delle scrittore Amos Sandri.
Intervista a Mariapia Ghedina: psicologa, snowboarder, climber e volontaria del soccorso alpino Definire Mariapia Ghedina con una sola parola o tentare di descriverla racchiudendola in un’unica attività non è una cosa semplice. Dopo pochi minuti di conversazione, infatti, si capisce subito di parlare con una persona dalle mille risorse umane e sportive, ma soprattutto si percepisce l’energia di una persona libera che ha fatto dell’uscire dal sentiero tracciato uno stile di vita. Conosciamola meglio.
Cosa fai nella vita?
Sono ex atleta professionista di snowboard freestyle, negli ultimi anni ho fatto parecchio alpinismo e dall’ultima estate mi sono concentrata di più sull’arrampicata sportiva. Sono psicologa e psicoterapeuta, per la passione che ho per la montagna, e per la natura in generale, seguo aziende facendo corsi motivazionali e di comunicazione. Faccio anche corsi di formazione o di aggiornamento alle guide alpine su vari aspetti psicologici connessi alla montagna: comunicazione efficace, gestione e percezione del rischio, disturbo post traumatico da stress ecc. Negli ultimi anni svolgo il mio lavoro quasi esclusivamente da remoto.
Dove vivi?
Sono di Cortina d’Ampezzo, ma ora vivo in camper e mi trovo in Catalunya. Sono in una community dove c’è gente da tutto il mondo venuta qui per scalare. Tanti vivono in un van e come me lavorano online, facendo i lavori più disparati, anche come manager di multinazionali. Vedendoli, non lo si direbbe mai.
Da Cortina alle falesie di Siurana, qual è stato il tuo percorso in montagna?
Fin da piccola ho fatto tantissimi sport e mi arrampicavo ovunque potevo. Tra l'altro, erano gli anni in cui andava di moda il free solo e io volevo sempre scalare senza corda, ma mia madre non era molto d'accordo, quindi mi ha fatto praticare altri sport. Ho fatto pattinaggio artistico e di velocità, ottenendo anche risultati interessanti. Poi ho praticato lo sci, prima di passare allo snowboard che ho amato tantissimo. A 15 anni sono andata via da Cortina e un anno dopo ho iniziato a fare l’atleta professionista. A 17 è arrivata la prima gara di Coppa del mondo e ho potuto iniziare a vivere di snowboard. Poi, quando mi sono resa conto che non avrei potuto fare snowboard freestyle a oltranza, ho deciso di approfondire la conoscenza sulla “forza mentale” tentando il test d'ingresso della facoltà di psicologia.
Come mai questa facoltà?
C'erano due cose che mi appassionavano: l’architettura e la psicologia. Ricordo che una volta ero a Les Deux Alpes quando mi sono resa conto del potere della mente. Avevo provato per tutto il giorno una struttura molto difficile senza riuscirci. Poi la notte, senza farlo apposta, ci ho ripensato ed ho elaborato quelle informazioni riuscendo, nel sogno, a trovare la soluzione. La mattina dopo sono andata lì con le idee chiare e sono subito riuscita a farla. Questa cosa mi ha impressionato, volevo saperne di più sulla mente. Inizialmente avevo in testa l'idea che come psicologa non sarei riuscita a lavorare, perché tanti mi dicevano che non avrei trovato lavoro, che in un paese così piccolo la gente si vergona ad andare dallo psicologo. Quindi, quando è stato ora di scegliere tra architettura e psicologia, è stato difficile perché non avevo dei criteri sufficienti per fare una scelta “razionale”. Fortunatamente ho fatto una scelta intuitiva, basata sulla passione.
E poi?
Una volta iniziata la scuola di psicoterapia, ho iniziato subito a lavorare molto con i clienti, a fare ricerca scientifica, tante collaborazioni nel mondo dell’arrampicata e della montagna. Ho iniziato a fare una trasmissione alla radio, mi hanno invitata in tv, a fare convegni scientifici e lezioni all'istituto di psicoterapia. Con gli anni mi sono così ritrovata sommersa di lavoro. Da un lato ero contenta perché vedere che le persone stavano meglio, con una vita migliore, era gratificante. Dall’altro, ero entrata in un loop molto frequente al giorno d’oggi dove la gente vive per lavorare e basta. Mi rendevo conto che era una cosa decisamente malsana perché non avevo più tempo per altre cose molto importanti. Dopo un po’ di tempo, l'estate scorsa, sono riuscita a tagliare una grande fetta di lavoro. La vita che sto facendo ora in camper mi piace molto perché è più semplice. Conosco persone serene, non consumiste, che fanno una vita sana, soddisfatte della loro vita e con molta consapevolezza, che sono una rarità al giorno d'oggi. Mi ritengo fortunata a poter condividere con loro la passione per l’arrampicata.
Al di là dell’aspetto sportivo e della prestazione, cos’è per te la montagna? Cosa ti insegna?
La montagna, tra le tante cose positive che dà, ti insegna a tagliare il superfluo e io sono convinta che per stare bene sia necessario imparare a toglierlo. Finché avremo troppo, avremo sempre una confusione di valori rischiando di dare peso a ciò che non conta, e viceversa. “La montagna ha la capacità di renderci leggeri, dagli impegni, dalle scadenze, dal ruolo. Qui si è liberi di essere meno complicati e di vivere veramente.”
Oggigiorno riceviamo un costante sovraccarico di impulsi, spesso derivanti anche dallo smartphone e dai social. Hanno un’influenza sull’approccio odierno verso la montagna e l’ambiente naturale?
Qui, dove sono ora, il livello di arrampicata è altissimo, tanti non hanno neanche i social e magari stanno provando la Rambla (via d’arrampicata gradata 9a+). Stimo molto di più loro di quelli che si fanno un profilo social da climber ma hanno un livello medio-basso. Io lo utilizzo per la mia professione, riuscendo a usare tutte le strategie per non farmi distrarre e starci il minimo indispensabile, ma mi rendo conto di quanto sia facile farsi fagocitare da tutto quello che possono produrre i social.
Tra le tante cose che hai fatto, hai scritto un libro dove parli del Mindfulfreeride.
Si tratta di una tecnica per prendersi cura di sè che ho ideato combinando la psicologia, la montagna e lo sport con lo scopo di migliorare la qualità della vita di chi la pratica. È un insieme di esercizi innovativi da svolgere nella natura. Non possiamo pensare alla mente come a qualcosa di separato dal corpo, né a noi stessi separati dall’ambiente in cui viviamo.
Un riaffermare quindi la parità di rapporto tra ambiente e essere umano quando, invece, al giorno d’oggi si tende spesso a elevare l'uomo al di sopra della natura.
C’è questa tendenza a considerare la natura come fosse una cosa e noi un'altra. Alcuni vivono come se fossero un’entità separata dalla natura, quindi anche dagli altri esseri umani. Sarebbe importante invece che più persone diventassero consapevoli di quanto invece siamo responsabili del pianeta, nel bene e nel male. Responsabili con le nostre mancanze tanto quanto con le nostre azioni utili. Tutto è connesso, non esiste una vera disconnessione tra una persona e l'altra o tra noi e il pianeta. Possiamo fare qualcosa di utile, anche di piccolo: è meglio di nulla. Anche se altri non capiscono non importa; possiamo poi dare il buon esempio, non usando solo le parole ma passando alle azioni. Ad esempio qui c’è un ragazzo che ogni settimana, senza dire niente né mettere nulla sui social, tira su le carte lasciate in giro da altre persone. Ho visto che ha toccato molto gli altri climber perché poi in tanti hanno iniziato a dargli una mano. Bastano poche persone con sani valori per fare tanto. Finché noi pensiamo che sia sempre qualcun altro a sistemare le cose, deleghiamo questa responsabilità e non succede nulla di buono.
Il cambiamento climatico è un altro fattore centrale in questo periodo storico. Nella tua esperienza personale, dove e quando hai notato questo cambiamento?
A Les Deux Alp, quando le stagioni iniziavano a durare poco, era troppo caldo, c'era la neve troppo lenta e non si riuscivano a fare i salti grossi. Già una ventina di anni fa si potevano intravvedere questi segnali, purtroppo quest’estate c’è stato uno shock generale perché il comprensorio ha chiuso molto presto. Ma non è un problema solo dal punto di vista ambientale, interessa anche la salute mentale delle persone. Qui in Spagna sto facendo una ricerca sugli effetti psicologici dei cambiamenti climatici nella popolazione. Tutti questi cambiamenti implicano delle capacità di adattamento che non tutti abbiamo. Le persone più abituate a stare in mezzo alla natura, a tollerare meglio anche il freddo e il caldo, che riescono a dormire senza problemi in giro, sono più predisposte a sopportare i cambiamenti, sia dal punto di vista fisico, sia psicologico, ma una gran parte di persone purtroppo invece li subirà sempre di più.
Come sei venuta a conoscenza di Elbec e cosa ti ha colpito di questo marchio?
Un amico mi ha parlato di Elbec e dei suoi prodotti in lana merinos cinque o sei anni fa. La sensazione sulla pelle della qualità della lana mi ha colpito molto. Quando vivevo in città avevo molti più vestiti di ora e mediamente di qualità non buona, cioè di materiali che neanche fanno bene alla nostra pelle. Ora, per comodità, ho scelto di avere meno cose e prendo quelle che sento meglio adesso. La cosa che più mi piace dei prodotti Elbec è che le calze, oltre ad essere molto calde e morbide, si sente che sono di ottima qualità e hanno una lunga durata. Ad esempio per le calze da sci alpinismo oramai non riesco più a farne a meno. Inoltre, condivido i valori di Elbec e la filosofia che c’è dietro al marchio connessa alla montagna.
ELBEC è il marchio di una azienda che produce calze ed accessori in lana merinos per il trekking, l’alpinismo e l’outdoor in generale. I prodotti si differenziano per la qualità dei materiali e per l’attenzione all’ambiente in tutte le fasi di produzione. I prodotti sono interamente realizzati in Italia con macchinari di ultima generazione oppure a mano direttamente in Dolomiti nell’ambito del progetto Manifattura Diffusa. L’azienda cerca di promuovere un rapporto con il consumatore basato sulla totale trasparenza e partecipa attivamente alla promozione di attività ed azioni che propongano una fruizione alternativa della Montagna più rispettosa dell’ambiente.