Antoine Le Menestrel, l'intervista ed il suo Manifesto per una scalata poetica

Il Manifesto per una scalata poetica dell'artista e climber francese Antoine Le Menestrel, uno degli indiscussi protagonisti dell'arrampicata sportiva degli anni '80. L'approfondimento e l'intervista di Maurizio Oviglia.
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Antoine Le Menestrel su La rose et le vampire a Buoux, Francia
Olivier Grunewald
Antoine Le Menestrel non ha bisogno di presentazioni. E’ stato uno dei primi scalatori al mondo a raggiungere l’8b/c. Raggiunta la massima difficoltà dell’epoca, della Rage de Vivre sulle rocce di Buoux, poi l’8c di Ravage alla metà degli anni ottanta, vola in Inghilterra per salire in giornata Revelations, allora la via più dura d’Inghilterra aperta da Jerry Moffatt. Non contento, subito dopo la sale slegato, un autentico schiaffo agli inglesi, che rimangono quasi scioccati dalla performance (il fatto è ricordato nelle recenti biografie di Fawcett e di Moffatt). Nel 1987 compie probabilmente la salita del primo 8a a vista della storia, Samizdat a Cimai. In seguito si dedica alla carriera di tracciatore e poi di artista, nella particolare espressione della "danza-arrampicata". Attualmente si esibisce in molte città d’Europa con i suoi spettacoli, con la compagnia Lézards Bleus.
Da sempre una delle personalità più interessanti della scena verticale, oggi cristallizza le sue idee e la sua filosofia in un manifesto, il "manifesto per una scalata poetica" che penso meriti di essere tradotto e diffuso il più possibile. Pur non essendo un traduttore ho voluto così esprimere la mia gratitudine e la mia stima ad Antoine, come arrampicatore e come artista, e in generale come uomo di cultura.

Antoine, nel tuo manifesto ho notato che tu non usi mai la definizione di sport per l’arrampicata, perché?
Lo trovo troppo riduttivo applicato all’arrampicata. La nostra pratica è un cristallo dalle molte sfaccettature, sia in fatto di interpretazioni pratiche che etiche.

Secondo te l'arrampicatore degli anni '80 cosa aveva di più rispetto a quello odierno, cosa è andato perso in questi 30 anni?
E’ andato perso il desiderio di inventare una nuova arrampicata, la si consuma, si «stampano» le vie. Si arrampica più un grado piuttosto che una via!

Antoine cosa è rimasto oggi di quel famoso manifesto dei 19? Nel tuo testo sembra di veder rinascere il sentimento che era alla base di quell'iniziativa
Si io cerco proprio di far rivivere questo sentimento, perchè occorre liberarsi del peso della competizione. La competizione esiste, io vi partecipo ancora come tracciatore o per accompagnare mio figlio Joakim. E' un momento di condivisione, di incontro tra gli attori principali della scalata. Ma trovo un peccato che non si utilizzi questo momento per trasmettere i valori fondamentali dell'arrampicata, la cordata, l'esigenza di rispettare le norme di sicurezza, gli incoraggiamenti, l'emulazione, la diversità dei vari modi di intendere la nostra attività.

Arrampicatori come Berhault, Edlinger e tu stesso continuate ad avere un grande carisma sulle nuove generazioni, carisma che i nuovi campioni faticano ad ottenere. Come spieghi tutto ciò?
Noi eravamo degli attori dell'arrampicata. Mi paragoni ai Patrick, sono onorato di questo, ma io non sono mai stato una star come lo erano loro. Essere un campione non vuol dire avere carisma. Un campione fa dello sport e segue delle rigide regole. Io pratico l'arrampicata libera, arrampico seguendo una certa etica. Non dimentico che ciò che faccio è anche cultura. Sono un attore della mia passione, e continuo ad inventare il mio modo di scalare. Amo condividere la mia passione e il mio amore per l'arrampicata. Ma è anche vero che io cerco che le mie performances artistiche siano riconosciute. Ma non cerco la fama. Siamo nell'ideologia dello Start Systeme. Ci attacchiamo al nostro piedistallo.

In un’arrampicata ormai dominata dalla forza e dalla prestazione questo tipo di discorsi alternativi vengono spesso bollati come ipocriti, come fossero scuse per coprire il fatto che non si sia più forti come un tempo. Tu che ne pensi?
Non è una questione di livello! L'arrampicata, al pari della nostra società, è dominata da questi valori. Sarei ipocrita se non riconoscessi che la società pone i suoi valori sulla forza e la competizione. Non ve ne faccio una colpa, il fatto è che questa ideologia è totalitaria. Penso che si è troppo legati ad ottenere il massimo. Non si vuole scendere dal piedistallo, si cerca il riconoscimento, il suo potere d'acquisto. Come il gatto che si arrampica sulla tenda, noi siamo saliti troppo velocemente e troppo in alto per paura o sete di libertà. Non riusciamo più a scendere, si miagola, si chiede aiuto e si rifiuta la mano tesa della fraternità, che ci sprona a ridimensionarci verso la nostra uguaglianza davanti alla morte. Nella nostra società il massimo simbolizza 'il meglio'.

Socialmente significa:
- la crescita economica e la ricchezza
- l'ascesa sociale ed il suo riconoscimento
- il più alto scalino del podio e la gloria
- la ricerca del paradiso celeste come un paradiso artificiale
- manifestare il proprio potere al balcone rivolgendosi alle masse

In nome di questa ricerca smaniosa, la società accetta che si possa camminare sulla testa dei propri concittadini esaurendo il nostro pianeta terra. Si è caduti sulla testa.

Arrampicare simbolizza questa ricerca dove la cima è il nostro desiderio.

Dal momento che desideriamo una di queste cose, le nostre mancanze danno luogo al desiderio di elevarsi. E quando arriviamo in cima, ci avvolge un sentimento di pienezza, ma ecco che desideriamo già un'altra cosa, il piacere non è duraturo. Aneliamo già ad una cima più alta. Solo la pietra più alta si poggia sulle foto della vittoria. Dov'è il riconoscimento di ciò che sta alla base, delle pietre che son sotto?

Non si può resistere in cima ad una montagna. La cima è invivibile, disumana. C'è vento, fa freddo, non c'è ossigeno, non si può più dormire né mangiare, si hanno delle allucinazioni, le nuvole diventano tempesta. Vi possono dimorare solo gli dei o gli stilita. Il paradiso non sta lassù. E' una menzogna!

Un buon arrampicatore è una persona umana che torna a casa. Saprà rinunciare alla cima. A valle racconterà la sua storia, condividerà la sua passione. Dopo lo sforzo dell'ascensione, la discesa rappresenterà il tempo della coscienza e della trasmissione di ciò che ha vissuto.

Trascorro la mia vita ad incarnarmi. Come Sisifo sono contento in quanto salgo, per poi ridiscendere.

Commentando il tuo manifesto sul mio blog ho scritto che probabilmente la tua rimarrà una voce nel deserto. Secondo te potrà mai esserci un'inversione di tendenza rispetto ad una concezione prestazionale e competitiva della scalata? Vedi qualche segnale?
Già il fatto che tu mi poni questa domanda è un buon segno. Ho visto che molti arrampicatori apprezzano il mio testo perchè sono intimamente convinti che questa ideologia della competizione è invasiva e non lascia spazio ad altre etiche e modi di intendere l'arte di arrampicare. Spero che ogni arrampicatore possa mettere la sua firma e condividerla nella diversità su un pezzo di roccia, resina o cemento. E' a ciascuno di noi inventare la nostra via. Il club di arrampicata di Brive ha organizzato uno spettacolo nelle strade, poi io ho condiviso la mia storia di artista arrampicatore. Per il 150° anniversario della CIE delle guide di Chamonix ho creato uno spettacolo con le guide stesse. Trovo che questi siano dei segnali.


MANIFESTO PER UNA SCALATA POETICA

di Antoine Le Menestrel, traduzione di Maurizio Oviglia

Alla fine degli anni '70 e l’inizio degli '80, l’arrampicata si è liberata dell’artificiale che utilizzava il materiale in loco come strumento di progressione. Gli arrampicatori inventarono "l’arrampicata libera" che di fatto trasformò la nostra maniera di arrampicare. Questa rivoluzione mi ha donato un’energia creativa che è ancora oggi ben viva in me.
In altri paesi questa rivoluzione viene chiamata rock climbing o sport climbing, ma limitandomi alla Francia l’arrampicata libera ha permesso:

- di liberarci della cima: una via può anche terminare nel bel mezzo di una falesia
- di aprire una via calandosi da una cima attrezzando appesi ad una corda
- di preparare preventivamente una via spazzolando i licheni, addolcendo le prese più aggressive, piazzando i chiodi nei punti dove sia più agevole moschettonarli. E di offrire questa via alla comunità degli arrampicatori.
- di esplorare zone di pareti fino allora tralasciate, come i grandi strapiombi
- di sviluppare il nostro repertorio gestuale
- di arrampicare senza usare alcun altro materiale se non le scarpette e la magnesite
- di contribuire all’evoluzione del materiale: con le nuove corde la caduta può far parte della nostra attività, la precisione delle scarpette ci ha permesso di tenere delle prese sempre più piccole, le imbragature basse ci hanno permesso una maggiore libertà di movimenti, la pratica in falesia ha diminiuto i rischi e ridotto l’uso del casco.
- di aprire la scala verso l’alto sino oltre l’8a, che allora non esisteva ancora
- di incoraggiarci tra di noi al fine di oltrepassare i nostri limiti
- di trasformare i sassi e le falesie da luoghi di allenamento per la montagna a luoghi con una loro propria dignità e specificità
- di farne un’attività più democratica e globale
- di creare una nuova Federazione dell’arrampicata che unendosi alla Fédération Française de la Montagne ha portato alla Fédération Française de la Montagne et de l’escalade
- la nascita delle gare di arrampicata e di difficoltà
- la nascita dei muri di arrampicata
- la nascita del mestiere di tracciatore
- la nascita di nuove attività, come la danza-scalata e la danza verticale

……

Oggi ho l’impressione che si "consumi" l’arrampicata. Siamo in un periodo meno creativo. La competizione è un valore alla base della nostra società attuale. E l’arrampicata è una pratica che si integra a livello sociale grazie alla competizione, agli sponsor, alla mediatizzazione dei muri di arrampicata. L’arrampicata sportiva è un’attività che è fortemente influenzata dalla cultura della competizione. E innalza il vincitore a svantaggio degli altri, sviluppando al contrario un sentimento di esclusione. Nelle gare l’arrampicata è fortemente regolamentata, queste regole ne congelano l’evoluzione e la imprigionano. E’ allora necessario liberarsi dal peso della competizione per inventare un proprio stile di scalata. Io arrampico una via, non il suo grado. Lo spirito competitivo mi dà l’energia per diventare migliore di un altro. Confrontarmi con difficoltà estreme mi ha reso più creativo. Ho spinto più avanti i miei limiti e ciò mi ha permesso di meglio conoscermi. La realizzazione di una sfida può anche donarmi piacere. Ma se la mia volontà di realizzare è predominante su ogni altra cosa ciò rischia di rendermi egoista. Perderò il piacere di arrampicare e rischierò di farmi male. Mi infortuno perché non mi sono ascoltato abbastanza, perché mi sono lasciato trascinare dal mio obiettivo. Mi sono lasciato prendere dall’ideologia della nostra società attuale, costruita sul mito della crescita e sulla convinzione che stare in alto sia meglio. Forse è per questa ragione che la mia ultima via a Buoux si chiama "Tchao Challenge"! Preferisco lo spirito di emulazione, un’attitudine che mi dà energia per migliorarmi. Non cerco più lo "stato di grazia" perché nella mia vita posso contare sulle dita di una mano le volte che si è verificato. Oggi cerco il piacere nella condivisione, un piacere più sobrio, più quotidiano. Il desiderio di arrampicare è alla base della mia arrampicata. L’arrampicata libera è trovare la propria individualità come arrampicatore. Il piacere è la mia cima.

L’arrampicata libera ci ha permesso di abbandonare la cima per dedicarsi al come arrampichiamo. L’arrampicata libera è cercare uno stato creativo nei gesti dettati dal disegno della roccia. L’arrampicata libera è inventare e porre la propria firma di arrampicatore.

Mi sono sovente domandato come migliorare in arrampicata senza utilizzare la forza. Ho fatto dei paralleli con altre discipline che ho praticato: arti marziali, Zen, danza, e non ho tralasciato la mitologia e la poesia verticale. Ho cercato di migliorami nella concentrazione, nella respirazione, la scioltezza, la precisione, la gestualità. La cosa che è stata più importante, è stato prendere coscienza della mia respirazione, il mio quinto punto d’appoggio. L’espirazione porta in sé ciascuno dei miei movimenti. E’ il mio turbo. L’espirazione è ispirazione. La respirazione è il nostro canto gestuale. Permette di controllare la paura. Un atto impegnativo come l’arrampicata, necessita forzatamente di una preparazione. Io mi preparo secondo il metodo "C.R.E.M": Concentration Respiration Étirement Massage. Questa attenzione verso me stesso mi permette di ottenere il piacere ed il successo.

cerco di mettere in atto tutte le condizioni per ottenere il massimo del piacere. Io mi lego in cordata con il mondo. Arrampico meglio quando sono in armonia con il mio desiderio. Quando sono sintonizzato con il desiderio del mio compagno di cordata. Il mio assicuratore dev’essere complice. Non deve dirmi come devo arrampicare, dev’essere il mio corpo ed il mio essere a trovare la soluzione. Egli mi accompagna con la sua presenza e mi aiuta con la sua concentrazione. La cordata non ha più obiettivi comuni, come poteva un tempo essere la cima. La nostra condivisione è la nostra cima.

Ho poco tempo per arrampicare, ed ogni arrampicata è come un regalo che mi dà la vita. Prendo la giornata di arrampicata come viene, senza obiettivi di realizzazione ad ogni prezzo. Una via di arrampicata mi chiama e posso seguire questo slancio. Arrampico senza cima, dimentico la cima. Passo dopo passo la cima viene a me. Durante l’arrampicata, cerco di seguire il flusso della mia energia. Io sono in ogni movimento. Se mi faccio prendere dai pensieri finisco per esitare, affaticarmi e infine cadere. Se penso cado. Arrampicare bene non è un fatto di quantità ma di intensità di noi stessi nel movimento. Non ho mai amato l’allenamento dove si agisce in vista di un tempo futuro. Io arrampico bene quando sono totalmente presente in questo momento, quando ho solo vuoto e concentrazione dentro di me. Arrampico bene quando non forzo muscolarmente, ma ho un gesto preciso e difficile. Arrampico col mio cuore e non con i miei muscoli.

L’arrampicata diviene poesia quando la riuscita del movimento non è il solo fine. Metto delle immagini nella mia scalata:

- arrampicare come se fossi fumo che sale lungo una parete
- carezzare la roccia piuttosto che stringere una presa
- fare l’amore con la roccia
- spingere verso il centro della terra
- arrampicare con l’era geologica
- arrampicare sulle uova
- avere lo sguardo della tigre
- spazzatura dentro un sacco arrampico leggero
- tenere e rilasciare una presa
- mi piazzo bene e la presa viene a me
- la via che sto per salire mi racconta una storia che è il riflesso di me stesso

Amo essere in relazione intima con la roccia. La parete è uno spartito gestuale. E’ indispensabile leggere questo spartito e avere un corpo a corpo con la roccia. Connettersi con questo ritmo e arrampicare con fluidità e determinazione, con dei movimenti dinamici e delle pause.

Florilègio sulle prese

La presa è il punto sul quale si fonda la nostra pratica, la scalata nasce alla prima presa e si esaurisce all’ultima

Il fuori presa non esiste in arrampicata. E’ tra una presa e l’altra che noi viviamo l’arrampicata.

Ogni presa ha la sua vicina

Ogni presa è unica, e fa parte del patrimonio minerale della scalata

Le prese sono il punto debole della nostra pratica, possiamo volontariamente romperle, ingrandirle, tapparle, scavarle. Sono a disposizione nostra, a discrezione dell’apritore e degli arrampicatori.

Le prese sono vive, si usurano col tempo, si rompono sotto la trazione ripetuta, e dopo la pioggia possono divenire particolarmente fragili.

Una presa si usa con i passaggi

La tendenza di una via di scalata è quella di diventare ogni giorno via via più difficile. Una presa è sempre vittima del suo stesso successo.

Una presa e la sua forma, la sua dimensione, il suo orientamento, il suo colore, è una nota su uno spartito minerale e noi siamo dei danzatori che la interpretano

L’arrampicatore è come un sasso che rimbalza sulle prese

Una presa collega tutti gli arrampicatori, è il nostro punto di contatto sulla quale rilasciamo sudore e sangue, gomma e terra, magnesite e resina

La presa è portatrice di sconosciuto, del movimento che essa stessa genera, la presa è portatrice di una sorpresa.

Ringrazio tutti quelli che mi danno l’energia per scrivere questo manifesto per una scalata poetica al fine che ogni arrampicatore possa trovare la sua firma gestuale e aprire la sua propria via in arrampicata

Verticalement

Antoine Le Menestrel
Saignon, luglio 2014





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