Miroglio boulder, il circuito e la sua storia
Il circuito di arrampicata e boulder del Miroglio (CN), presentato da Giovanni Massari: una piacevolissima alternativa alla solita giornata in falesia ed una sorta di tuffo nel passato dove le difficoltà sono solo un dettaglio.
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La mappa del circuito boulder a Miroglio (CN)
Giovanni Massari
Fin dalla metà degli anni settanta anche la Palestra di Miroglio, meglio conosciuta come la palestra dei Distretti o Beppino Avagnina, è stata, come molte altre in quel periodo, teatro della rivoluzione che ha animato il dibattito sull'evoluzione dell’arrampicata; rivoluzione che, attraversando i mitici anni ’80, è giunta fino allo stratosferico livello di crescente difficoltà raggiunto oggi. Senza addentrarmi nelle infinite diatribe tra cosa è bene fare o non fare per scalare correttamente, dal punto di vista etico, una qualsiasi parete rocciosa (spit, prese scavate, doping...), vorrei raccontare, proprio con l'esempio di Miroglio, come sia cresciuto qui da noi il bouldering ovvero l'arte di scalare sui massi.
Ritengo che l'arrampicata sia una delle prime espressioni complesse nate dall'essere umano: uno schema motorio che, in un misto di forza e resistenza, mette in gioco anche tutte le altre qualità fisiche ma che risulta vano senza l'intuizione e l'intelligenza che servono per risolvere i problemi con il minor dispendio energetico possibile. Penso che arrampicare ci porti indietro, alle nostre origini, e, senza l'ausilio di mezzi artificiali particolari (come nel bouldering), ci pone senza pietà di fronte a noi stessi e alle nostre fragilità (in sostanza si sale o non si sale, senza possibilità di mediazione). L’arrampicata, vissuta in ambiente naturale, può, a tratti, regalarci quel piacevole senso di distacco dall'oppressione di una vita scandita dalle regole del capitalismo; un distacco vagheggiato dalla beat generation prima e dal movimento hippie poi ma naufragata, troppo spesso in quelle esperienze, nell'alcol e nei paradisi artificiali della droga. Proprio di origine americana, ed importata qui da noi (nonostante fosse ben noto il decennale approccio al bouldering nella foresta di Fontainebleau), è quella sorta di rivoluzione che si propose agli occhi degli scalatori sul finire degli anni '70: meno sofferenza e più simbiosi con l'ambiente e il proprio io, un credo dell'arrampicata fatto certo di funamboliche imprese ma anche di mero edonismo in un contesto di confronto diretto con il nostro limite psicofisico con solo mani e piedi a mediare il rapporto con la roccia; il tutto condito dall'uso delle leggere scarpette a suola liscia al posto dei pesanti scarponi e di un rapporto con la roccia fatto di piacere fisico del movimento piuttosto che di un conflitto con la parete fatto di sacrificio e sofferenza. Forte di questi ancora indecifrabili segnali di cambiamento, eco di americane esperienze (John Bachar & Co), vidi per la prima volta, nella primavera 1980, (userò solo i nomi propri) "I locals" di Miroglio Charlie, Elio e Igor che si muovevano sinuosi e seminudi con i muscoli in bella vista e con i primi sacchetti della magnesite (carbonato di magnesio usato dai ginnasti per assorbire i sudore e migliorare la presa) auto prodotti.
Mi accorsi subito, anche se ero un teenager alle prime armi, che portavano a Miroglio, tempio di un alpinismo classico ma ormai decadente, un vento nuovo, che decisi di raccogliere e fare mio. Parlavano di bella roccia, di passaggi acrobatici e tentativi fino allo sfinimento, di allenamenti e trazioni alla sbarra e di un allora a me quasi sconosciuto Gian Carlo Grassi che proprio a Miroglio aveva aperto un difficile passaggio e che era uno degli alfieri di questo nuovo modo di porsi nei confronti delle strutture rocciose e anche di un altro mito da poco e prematuramente scomparso e cioè quel Gianni Comino che aveva esasperato fino al suo limite estremo il confronto del l’uomo con se stesso e con il vuoto.
Incontravo spesso "I locals" a Miroglio ma la svolta venne quando li vidi, nella primavera 1981, imitando Grassi in Val di Susa (intanto, affascinato dal suo nome e dalle sue poliedriche realizzazioni, mi ero recato a visitare i massi erratici da lui valorizzati), dipingere minuziosamente sulle rocce con minuscole frecce il segno del loro passaggio in un circuito di circa 35 passaggi e di conseguenza preparare una mappa che dava un nome colorito ad ogni salita (ne ricordo alcuni: alito satanico, oceano di quiete, sogno di Gollum) e ne dava una valutazione curiosa, AD, D, TD, cioè abbastanza difficil, difficile, troppo difficile e quindi di fatto, grande intuizione, una non valutazione. Ma il colpo da maestro fu la creazione di un adesivo raffigurante il dito medio alzato come logo dei neonati "Sassisti della Maudagna Valley", un evidente messaggio qualunquista che si ispirava di fatto a precedenti esperienze ma con chiari elementi di originalità.
Fui rapito e conquistato da questo nuovo modo di vedere le cose, che mi allontanava dalla mia visione vagamente confusa ma ancora prevalentemente classica, del quale sentivo irresistibile l'attrazione e che mi portò in breve a ripetere tutti i loro passaggi ad aprirne altri esplorando ogni angolo della palestra dei Distretti e a continuare altrove con quella pratica (in primis in valle Ellero): una nascente forma di bouldering, un piacere del gesto e una manifestazione di forza, che si esprimeva nella sua apoteosi con una paradossale e apparente assenza di peso, che non avrei mai più abbandonato. Era consuetudine allora ritrovarci ad arrampicare slegati sui torrioni il sabato pomeriggio (uscite che " bissavo " regolarmente, spesso in autostop..., più volte in settimana), chi dopo la scuola, chi dopo il lavoro, e praticare alla base delle vie e sui massi isolati questa, per noi nuova, forma di arrampicata e devo dire che, nonostante l'elevato rischio e nessuna protezione (il crash pad sarebbe arrivato decenni dopo), non si verificò mai alcun incidente che avrebbe potuto essere, potenzialmente, anche molto grave. Le salite si svolgevano con la massima naturalezza e, nonostante l’altezza dei passaggi fosse spesso ragguardevole, quel primo "Sassismo" ereditava infatti ancora dall’alpinismo il concetto del rischio, tutto era prevalentemente basato sulla bellezza del passaggio o dei movimenti piuttosto che sulla precisa valutazione delle difficoltà.
Vorrei spendere ancora poche parole per dire che questa larvata forma di bouldering nata un po' dappertutto in Italia ha sconvolto anche il modo di vedere la montagna e che grazie alla costante pratica di queste brevi ascensioni (si trattava spesso, a tutti gli effetti, di vere e pr prie free solo) su queste piccole rocce il livello si è potuto innalzare e dalle piccole ascensioni si è potuta applicare la stessa tecnica sulle grandi pareti (come peraltro aveva già capito molti anni prima il grande "passaggista" e alpinista Pierre Allain) ridicolizzando gli orari medi sulle salite di stampo classico, sia in cordata che in solitaria, ma soprattutto avendo a disposizione una forza e una tecnica ancora sconosciute, ma continuamente allenabili, per risolvere nuove salite sempre più difficili e spesso senza dover ricorrere all’impiego dell’arrampicata artificiale.
Ormai resta poco dello spirito di quei tempi: le persone vi si sono allontanate per impegni personali, per dedicarsi ad altre attività sportive, per sopraggiunti limiti di età ma anche, credo, per una forma di relativa standardizzazione della performance e ultrasportivizzazione dell’attività che esalta il raggiungimento del livello di difficoltà a rischio azzerato (con le debite e ragguardevoli eccezioni) a discapito del controllo del rischio e della paura, elementi tipici del retaggio alpinistico; solo pochi hanno saputo restare indifferenti a questa trasformazione. Restano a Miroglio i passaggi di quell'epoca spensierata, moltiplicatisi negli anni in una costante esplorazione, simbolo di un bouldering primitivo e spontaneo che ciascuno potrà percorrere per piacere personale o per storica curiosità valutando individualmente dove ci ha condotto questa ricerca.
Aggiungo infine un mio pensiero rivolto a tutti i personaggi che hanno attuato, qui da noi e in quegli anni, il germe di questa attività. Vorrei ricordare come siano cresciuti in un’epoca di rivoluzione culturale post sessantottina nel cui clima l’attenzione dell’uomo, in ogni ambito e di conseguenza anche in quello alpinistico, si è spostata dalle grandi imprese eroiche d’impatto collettivo verso un’attività lontana dalle pareti "classiche" e improntata a una ricerca costante del "nuovo" e a una maggiore introspezione psicologica, forieri entrambi dell’attuale cambiamento. Un grazie dunque a chi, da Gianni a Gian Carlo fino ai Sassisti della Maudagna Valley e senza assolutamente dimenticare i ragazzi del GAM e i tanti visionari che qui come altrove, anche solo con l’espressione corporea di una semplice serie di movimenti su un sasso hanno saputo innovare e spostare l’attenzione degli scalatori dalle pareti su queste rocce, solo apparentemente minori (ma sintomo di un radicale cambiamento) anticipando i concetti di quella che sarebbe diventata arrampicata libera prima e sportiva iperprotetta poi e in un futuro ancora da scoprire ma certo centrato sulle capacità psicofisiche dell’uomo.
Ritengo personalmente importante che, ciascuno di noi, nell’intimo contatto con queste insignificanti linee di appigli, possa capire quanto vale veramente, lontano da antiquati stereotipi di curriculum certificati, come singolo individuo in una sfida personale solo di fronte a se stesso, e il confine fin dove si può spingere, dettato unicamente dalla sua forza e dal suo coraggio attraverso lo strumento di un’arrampicata finalmente davvero "libera"; è stato questo, probabilmente nel mio vissuto, il miglior regalo che mi ha fatto e che continua a farmi la scalata.
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INFO
Il circuito e i passaggi
Ho selezionato personalmente, in una sorta di circuito, i passaggi più classici che degli anni ’80 e le molte novità del nuovo millennio. Le sezioni di roccia superate in arrampicata libera si sono più che triplicate rispetto al circuito originario di circa 35 passaggi (ora siamo abbondantemente oltre i 100) censito dai Fossanesi (Carlo,Igor ed Elio) alla fine degli anni ’70. Nel caso non si possegga un livello solido rispetto ai gradi proposti, è opportuno un primo approccio con la corda per i blocchi più alti; per chi invece è superiore alle difficoltà proposte, il mio personale consiglio è semplicemente di provare i passaggi seguendo la sua numerazione senza preoccuparsi del grado (sempre relativo) e gustandosi il piacere del movimento e della ricerca delle soluzioni migliori o più interessanti (magari informandosi sui metodi per i blocchi più alti). Le valutazioni proposte,in funzione dell’esposizione, della relativa altezza dei passaggi (a volte sono delle vere e proprie mini-solitarie...) e degli atterraggi spesso insidiosi sono da intendersi più simili a quelle in uso in falesia che non di blocco. Quasi tutti i passaggi sono stati saliti senza nessuna forma di assicurazione, ad eccezione del "Giova Wall" salito in top rope; a meno di non voler fare un tuffo nel passato, l’uso del crash pad è, in generale, consigliato. Ho predisposto, sui blocchi più alti, alcune soste a spit in modo che chiunque, se lo desidera, possa esercitarsi e divertirsi senza rischi (è sufficiente munirsi di uno spezzone di 20m e di un Gri-Gri). Inoltre potrete notare che alcuni passaggi sono ora chiodati (gli spit sono arrivati solo nel 1985) ma ho voluto proporli ugualmente per memoria storica(uno per tutti: il passaggio Grassi). Il circuito non è esaustivo e mancano all’appello la fessura Comino e i passaggi limitrofi posti dietro il Torrione C (una decina in tutto) e facilmente individuabili sulla via di discesa del torrione stesso, alcuni passaggi posti dietro il Torrione E e due o tre passaggi alla base del Torrione M e il bel masso nel bosco sulla sinistra all’inizio del sentiero che presenta alcuni bei passaggi in ottica più moderna. Gli itinerari non presentano alcuna descrizione ma solo la linea di salita, in modo che ciascuno possa scegliere liberamente la propria sequenza nell’interpretazione dei passaggi. Percorrere questo circuito, oltre che un piccolo viaggio nel tempo e tra i personaggi dell’epoca (primi fra tutti G. Comino e G. C. Grassi), è una piacevolissima alternativa alla solita giornata in falesia; una sorta di tuffo nel passato dove le difficoltà sono solo un dettaglio.
La mappa del circuito
La partenza del percorso è situata all’inizio del sentiero; diventa poi l’arrivo del percorso che si snoda fra i Torrioni.
22/06/2015 - Val Ellero boulder classics
Giovanni Massari ripercorre la storia del boulder nella splendida Val Ellero in provincia di Cuneo.
Ritengo che l'arrampicata sia una delle prime espressioni complesse nate dall'essere umano: uno schema motorio che, in un misto di forza e resistenza, mette in gioco anche tutte le altre qualità fisiche ma che risulta vano senza l'intuizione e l'intelligenza che servono per risolvere i problemi con il minor dispendio energetico possibile. Penso che arrampicare ci porti indietro, alle nostre origini, e, senza l'ausilio di mezzi artificiali particolari (come nel bouldering), ci pone senza pietà di fronte a noi stessi e alle nostre fragilità (in sostanza si sale o non si sale, senza possibilità di mediazione). L’arrampicata, vissuta in ambiente naturale, può, a tratti, regalarci quel piacevole senso di distacco dall'oppressione di una vita scandita dalle regole del capitalismo; un distacco vagheggiato dalla beat generation prima e dal movimento hippie poi ma naufragata, troppo spesso in quelle esperienze, nell'alcol e nei paradisi artificiali della droga. Proprio di origine americana, ed importata qui da noi (nonostante fosse ben noto il decennale approccio al bouldering nella foresta di Fontainebleau), è quella sorta di rivoluzione che si propose agli occhi degli scalatori sul finire degli anni '70: meno sofferenza e più simbiosi con l'ambiente e il proprio io, un credo dell'arrampicata fatto certo di funamboliche imprese ma anche di mero edonismo in un contesto di confronto diretto con il nostro limite psicofisico con solo mani e piedi a mediare il rapporto con la roccia; il tutto condito dall'uso delle leggere scarpette a suola liscia al posto dei pesanti scarponi e di un rapporto con la roccia fatto di piacere fisico del movimento piuttosto che di un conflitto con la parete fatto di sacrificio e sofferenza. Forte di questi ancora indecifrabili segnali di cambiamento, eco di americane esperienze (John Bachar & Co), vidi per la prima volta, nella primavera 1980, (userò solo i nomi propri) "I locals" di Miroglio Charlie, Elio e Igor che si muovevano sinuosi e seminudi con i muscoli in bella vista e con i primi sacchetti della magnesite (carbonato di magnesio usato dai ginnasti per assorbire i sudore e migliorare la presa) auto prodotti.
Mi accorsi subito, anche se ero un teenager alle prime armi, che portavano a Miroglio, tempio di un alpinismo classico ma ormai decadente, un vento nuovo, che decisi di raccogliere e fare mio. Parlavano di bella roccia, di passaggi acrobatici e tentativi fino allo sfinimento, di allenamenti e trazioni alla sbarra e di un allora a me quasi sconosciuto Gian Carlo Grassi che proprio a Miroglio aveva aperto un difficile passaggio e che era uno degli alfieri di questo nuovo modo di porsi nei confronti delle strutture rocciose e anche di un altro mito da poco e prematuramente scomparso e cioè quel Gianni Comino che aveva esasperato fino al suo limite estremo il confronto del l’uomo con se stesso e con il vuoto.
Incontravo spesso "I locals" a Miroglio ma la svolta venne quando li vidi, nella primavera 1981, imitando Grassi in Val di Susa (intanto, affascinato dal suo nome e dalle sue poliedriche realizzazioni, mi ero recato a visitare i massi erratici da lui valorizzati), dipingere minuziosamente sulle rocce con minuscole frecce il segno del loro passaggio in un circuito di circa 35 passaggi e di conseguenza preparare una mappa che dava un nome colorito ad ogni salita (ne ricordo alcuni: alito satanico, oceano di quiete, sogno di Gollum) e ne dava una valutazione curiosa, AD, D, TD, cioè abbastanza difficil, difficile, troppo difficile e quindi di fatto, grande intuizione, una non valutazione. Ma il colpo da maestro fu la creazione di un adesivo raffigurante il dito medio alzato come logo dei neonati "Sassisti della Maudagna Valley", un evidente messaggio qualunquista che si ispirava di fatto a precedenti esperienze ma con chiari elementi di originalità.
Fui rapito e conquistato da questo nuovo modo di vedere le cose, che mi allontanava dalla mia visione vagamente confusa ma ancora prevalentemente classica, del quale sentivo irresistibile l'attrazione e che mi portò in breve a ripetere tutti i loro passaggi ad aprirne altri esplorando ogni angolo della palestra dei Distretti e a continuare altrove con quella pratica (in primis in valle Ellero): una nascente forma di bouldering, un piacere del gesto e una manifestazione di forza, che si esprimeva nella sua apoteosi con una paradossale e apparente assenza di peso, che non avrei mai più abbandonato. Era consuetudine allora ritrovarci ad arrampicare slegati sui torrioni il sabato pomeriggio (uscite che " bissavo " regolarmente, spesso in autostop..., più volte in settimana), chi dopo la scuola, chi dopo il lavoro, e praticare alla base delle vie e sui massi isolati questa, per noi nuova, forma di arrampicata e devo dire che, nonostante l'elevato rischio e nessuna protezione (il crash pad sarebbe arrivato decenni dopo), non si verificò mai alcun incidente che avrebbe potuto essere, potenzialmente, anche molto grave. Le salite si svolgevano con la massima naturalezza e, nonostante l’altezza dei passaggi fosse spesso ragguardevole, quel primo "Sassismo" ereditava infatti ancora dall’alpinismo il concetto del rischio, tutto era prevalentemente basato sulla bellezza del passaggio o dei movimenti piuttosto che sulla precisa valutazione delle difficoltà.
Vorrei spendere ancora poche parole per dire che questa larvata forma di bouldering nata un po' dappertutto in Italia ha sconvolto anche il modo di vedere la montagna e che grazie alla costante pratica di queste brevi ascensioni (si trattava spesso, a tutti gli effetti, di vere e pr prie free solo) su queste piccole rocce il livello si è potuto innalzare e dalle piccole ascensioni si è potuta applicare la stessa tecnica sulle grandi pareti (come peraltro aveva già capito molti anni prima il grande "passaggista" e alpinista Pierre Allain) ridicolizzando gli orari medi sulle salite di stampo classico, sia in cordata che in solitaria, ma soprattutto avendo a disposizione una forza e una tecnica ancora sconosciute, ma continuamente allenabili, per risolvere nuove salite sempre più difficili e spesso senza dover ricorrere all’impiego dell’arrampicata artificiale.
Ormai resta poco dello spirito di quei tempi: le persone vi si sono allontanate per impegni personali, per dedicarsi ad altre attività sportive, per sopraggiunti limiti di età ma anche, credo, per una forma di relativa standardizzazione della performance e ultrasportivizzazione dell’attività che esalta il raggiungimento del livello di difficoltà a rischio azzerato (con le debite e ragguardevoli eccezioni) a discapito del controllo del rischio e della paura, elementi tipici del retaggio alpinistico; solo pochi hanno saputo restare indifferenti a questa trasformazione. Restano a Miroglio i passaggi di quell'epoca spensierata, moltiplicatisi negli anni in una costante esplorazione, simbolo di un bouldering primitivo e spontaneo che ciascuno potrà percorrere per piacere personale o per storica curiosità valutando individualmente dove ci ha condotto questa ricerca.
Aggiungo infine un mio pensiero rivolto a tutti i personaggi che hanno attuato, qui da noi e in quegli anni, il germe di questa attività. Vorrei ricordare come siano cresciuti in un’epoca di rivoluzione culturale post sessantottina nel cui clima l’attenzione dell’uomo, in ogni ambito e di conseguenza anche in quello alpinistico, si è spostata dalle grandi imprese eroiche d’impatto collettivo verso un’attività lontana dalle pareti "classiche" e improntata a una ricerca costante del "nuovo" e a una maggiore introspezione psicologica, forieri entrambi dell’attuale cambiamento. Un grazie dunque a chi, da Gianni a Gian Carlo fino ai Sassisti della Maudagna Valley e senza assolutamente dimenticare i ragazzi del GAM e i tanti visionari che qui come altrove, anche solo con l’espressione corporea di una semplice serie di movimenti su un sasso hanno saputo innovare e spostare l’attenzione degli scalatori dalle pareti su queste rocce, solo apparentemente minori (ma sintomo di un radicale cambiamento) anticipando i concetti di quella che sarebbe diventata arrampicata libera prima e sportiva iperprotetta poi e in un futuro ancora da scoprire ma certo centrato sulle capacità psicofisiche dell’uomo.
Ritengo personalmente importante che, ciascuno di noi, nell’intimo contatto con queste insignificanti linee di appigli, possa capire quanto vale veramente, lontano da antiquati stereotipi di curriculum certificati, come singolo individuo in una sfida personale solo di fronte a se stesso, e il confine fin dove si può spingere, dettato unicamente dalla sua forza e dal suo coraggio attraverso lo strumento di un’arrampicata finalmente davvero "libera"; è stato questo, probabilmente nel mio vissuto, il miglior regalo che mi ha fatto e che continua a farmi la scalata.
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INFO
Il circuito e i passaggi
Ho selezionato personalmente, in una sorta di circuito, i passaggi più classici che degli anni ’80 e le molte novità del nuovo millennio. Le sezioni di roccia superate in arrampicata libera si sono più che triplicate rispetto al circuito originario di circa 35 passaggi (ora siamo abbondantemente oltre i 100) censito dai Fossanesi (Carlo,Igor ed Elio) alla fine degli anni ’70. Nel caso non si possegga un livello solido rispetto ai gradi proposti, è opportuno un primo approccio con la corda per i blocchi più alti; per chi invece è superiore alle difficoltà proposte, il mio personale consiglio è semplicemente di provare i passaggi seguendo la sua numerazione senza preoccuparsi del grado (sempre relativo) e gustandosi il piacere del movimento e della ricerca delle soluzioni migliori o più interessanti (magari informandosi sui metodi per i blocchi più alti). Le valutazioni proposte,in funzione dell’esposizione, della relativa altezza dei passaggi (a volte sono delle vere e proprie mini-solitarie...) e degli atterraggi spesso insidiosi sono da intendersi più simili a quelle in uso in falesia che non di blocco. Quasi tutti i passaggi sono stati saliti senza nessuna forma di assicurazione, ad eccezione del "Giova Wall" salito in top rope; a meno di non voler fare un tuffo nel passato, l’uso del crash pad è, in generale, consigliato. Ho predisposto, sui blocchi più alti, alcune soste a spit in modo che chiunque, se lo desidera, possa esercitarsi e divertirsi senza rischi (è sufficiente munirsi di uno spezzone di 20m e di un Gri-Gri). Inoltre potrete notare che alcuni passaggi sono ora chiodati (gli spit sono arrivati solo nel 1985) ma ho voluto proporli ugualmente per memoria storica(uno per tutti: il passaggio Grassi). Il circuito non è esaustivo e mancano all’appello la fessura Comino e i passaggi limitrofi posti dietro il Torrione C (una decina in tutto) e facilmente individuabili sulla via di discesa del torrione stesso, alcuni passaggi posti dietro il Torrione E e due o tre passaggi alla base del Torrione M e il bel masso nel bosco sulla sinistra all’inizio del sentiero che presenta alcuni bei passaggi in ottica più moderna. Gli itinerari non presentano alcuna descrizione ma solo la linea di salita, in modo che ciascuno possa scegliere liberamente la propria sequenza nell’interpretazione dei passaggi. Percorrere questo circuito, oltre che un piccolo viaggio nel tempo e tra i personaggi dell’epoca (primi fra tutti G. Comino e G. C. Grassi), è una piacevolissima alternativa alla solita giornata in falesia; una sorta di tuffo nel passato dove le difficoltà sono solo un dettaglio.
La mappa del circuito
La partenza del percorso è situata all’inizio del sentiero; diventa poi l’arrivo del percorso che si snoda fra i Torrioni.
22/06/2015 - Val Ellero boulder classics
Giovanni Massari ripercorre la storia del boulder nella splendida Val Ellero in provincia di Cuneo.
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