Moro e Barmasse in vetta al Beka Brakai Chhok

L’1 agosto 2008 Simone Moro ed Hervè Barmasse hanno raggiunto la vetta inviolate del Beka Brakai Chhok (6940m) nel Karakorum pachistano.

Ecco il report e alcune considerazioni di Simone Moro sulla veloce salita in stile alpino (meno di 48 ore tra andata e discesa) effettuata con Hervé Barmasse e già oggetto in passato di almeno 3 tentativi da parte di spedizioni inglesi e neozelandesi.

Una bella realizzazione quella del valdostano e del bergamasco descritta da Moro come “impegnativa e a 5 stelle”. Bravi, bella salita!



Report Beka Brakai Chhok, di Simone Moro

Il Beka Brakai Chhok di quasi 7000 metri (6940 ) ora non è più inviolato… E’ stato davvero un osso duro, una salita impegnativa e a 5 stelle.

Prima di raccontarvi la cronaca vogliamo dirvi che stiamo seguendo anche noi la cronaca tragica che arriva dal K2 e ancora prima avevamo fatto lo stesso con quella drammatica arrivata dal Nanga Parbat.

Io ed Hervè non siamo andati per scelta a un 8000 (troppa gente) ed abbiamo provato ad inoltrarci nella remota valle del Baltar Glacier che già visitai nel 2005 e che suggerii ad alcuni colleghi italiani come meta degli anni successivi.

Quest’anno siamo venuti con l’intento iniziale di salire l’inviolato Batura II ma come sapete abbiamo trovato la sorpresa di trovare una spedizione coreana che con stile pesante voleva anch’essa raggiungere l’inviolata vetta del Batura II 7762.

Per questo avevo deciso immediatamente di abbandonare l’obiettivo originale, evitare ogni tipo di “gara” e sovraffollamento che sarebbe stato insensato, pericoloso e irrispettoso verso lo stile leggero che volevamo utilizzare e mantenere nel nostro tentativo.

Ci eravamo dunque guardati attorno e immediatamente avevamo posato gli occhi sulla fantastica piramide di ghiaccio e roccia che da tempo resisteva ai tentativi dei vari alpinisti che l’avevano corteggiata e che erano stati respinti.

Beka Brakai Chhok è il nome della montagna che abbiamo tentato e salito in puro stile alpino, senza nessun campo piazzato sulla montagna ed il tutto in meno di 48 ore. La cronaca di un tentativo precedente al nostro, racconta di 5 campi piazzati in salita e 3 in discesa e niente vetta…

La nostra di cronaca racconta di una partenza dalla base della parete a 4750 m alle 5 del mattino e di una salita costantemente su terreno difficile, inizialmente anche pericoloso… e sempre legati in conserva fino a quota 6000 in corrispondenza di un cresta affilata ed aerea. Prima di quel punto abbiamo superato tratti anche strapiombanti di ghiaccio, numerosi pezzi verticali, qualche tratto di misto e scavalcato numerosi crepacci.

Da 6000 metri abbiamo poi iniziato un lungo delicatissimo traverso di 5 tiri di corda da 60 mt fino a raggiungere un ampio plateau. Procedendo in neve fresca fino al ginocchio lo abbiamo attraversato obliquamente tutto fino a raggiungere la base della piramide sommitale della montagna a quota 6500 metri.

Erano le 21,30 ed era venuto il momento di organizzare un bivacco. Riparandoci sotto un seracco e dentro un piccolo crepaccio abbiamo passato la notte senza nessun sacco a pelo, tenda, fornelletto… nulla (grande freddo e battere di denti). La mattina seguente ci siamo messi per un ora al sole per scaldarci le ossa e poi abbiamo iniziato a salire gli ultimi 400 metri della montagna.

Abbiamo incontrato difficoltà ancora sostenute e due tiri di misto pressoché verticali e poco proteggibili. Alle 14,30 eravamo sull’ultimissima affilata cresta cavalcata la quale siamo finalmente arrivati sulla vetta, rappresentata da una gigantesca cornice/meringa di neve inconsistente.

Stretta di mano, foto di rito, riprese video e poi via di corsa verso il basso. Sapevamo che la discesa si sarebbe dimostrata ostica e pericolosa e per questo non abbiamo voluto perdere troppo tempo in vetta e ci siamo subito concentrati sull’azione.

Abbiamo deciso di seguire un itinerario diverso da quello di salita (linea verde). Logico, diretto, veloce ma più pericoloso per la presenza di grossi seracchi sommitali. Per questo abbiamo proceduto il più velocemente e con le orecchie tese pronti ad evitare eventuali crolli.

Tutto è andato per il verso giusto e a mezzanotte eravamo nuovamente alla tendina dove la nostra scalata era cominciata. Abbiamo pii proseguito verso il campo base che abbiamo raggiunto alle 3 di notte… Una galoppata infinita, una salita che ci da molta soddisfazione e consapevolezza delle nostre capacità e che chiude i conti con i vari tentativi precedenti.

L’alpinismo non è solo morte, tragedie, sopravvivenza ed eroismo. Questa nostra salita di certo non farà parlare di sé come le recenti cronache verticali degli 8000 pakistani ma speriamo aiuti a ricordare al grande pubblico e agli appassionati, che noi come tanti altri andiamo in montagna con sale in zucca, per vivere, gioire, crescere, accettare i verdetti della vita, dello sport e a volte anche del destino , senza mai mettere in discussione e mancare di rispetto verso ciò che permette di portare avanti tutto questo: il valore della vita.

Simone Moro





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