Altre vie d’arrampicata dedicate a Nika Shakarami e Mahsa Amini
Che l’arrampicata si ispiri ad una filosofia della libertà lo sappiamo già dagli anni 70 quando i nomi delle "vie" rievocavano le contaminazioni tra alpinismo e movimenti hippy: Cannabis, Funghi sacri, Il risveglio di Kundalini, L’alba del Nirvana… Il "Nuovo Mattino" di Giampiero Motti apriva una nuova corrente di pensiero, espressione dell’osmosi culturale tra il nostro Paese, Francia e America.
Anche oggi in Italia l’alpinismo non perde tempo: sono stati tre uomini, bisogna riconoscerlo, ad aprire una "via" intitolandole a Mahsa e a Nika, per ricordare la loro lotta in nome di tutte. Il 2 ottobre 2022 Nika Shakarami avrebbe compiuto 17 anni. Come Mahsa Amini è morta in un carcere iraniano. La storia è oramai nota in tutto il mondo.
Il 22 ottobre nelle Valli di Lanzo, a Balme, Renato Giustetto e Gian Maria Grassi, a pochi giorni dalla morte di Mahsa avvenuta il 16 settembre, aprivano la nuova via di arrampicata chiamandola con il suo nome; il 25 ottobre Maurizio Oviglia in Sardegna apriva, in solitaria, due monotiri dedicandole a Nika e Mahsa, la prima scomparsa da Teheran il 22 settembre 2022 durante una protesta organizzata in seguito alla morte di Mahsa Amini. Di Nika però non si sa esattamente il giorno della morte, la famiglia è stata semplicemente informata del suo decesso. Quando i genitori sono riusciti a recuperare il corpo lo hanno trovato pieno di suture, cuciture fatte a mano e privo degli organi interni.
È l’alpinismo, in questo frangente della storia, che ha amplificato un messaggio universale "per affermare il rispetto dei diritti umani, senza un intento politico o religioso", ci tiene a precisare Maurizio Oviglia che il 1° novembre ha aperto anche una nuova via di più tiri, sui Tacchi d’Ogliastra a Ulassai, denominandola con lo slogan utilizzato dalle donne iraniane: Woman Life Freedom.
Le vie di roccia calcarea, aperte da Oviglia, a Segariu si trovano nel Campidano, la pianura più estesa della Sardegna che risale al periodo geologico più recente nella storia della Terra. L’origine alluvionale di questa parte dell’isola riconduce all’azione dell’acqua che nel tempo ha modificato il paesaggio in modo carsico e silenzioso. È una metafora perfetta dello sforzo che gli alpinisti hanno fatto nell’impresa di aprire nuovi percorsi di arrampicata: senza clamore cambiamo il corso della storia con un gesto che può sembrare trascurabile.
La protesta delle donne iraniane contro il governo guidato dall’ayatollah Ali Khamenei è un nodo storico problematico anche per chi, in Occidente, difende l’uso del velo come anima di una tradizione religiosa e culturale: l’hijab per le giovani iraniane non è più infatti un modo per amare dio ma al contrario strumento di costrizione del potere maschile contro il femminile.
Nasim Eshqi, la nota climber iraniana pioniera nel suo paese dell’arrampicata in ambiente mi racconta: "The veil is only for controlling women. With the veil, you are not free to even move your body easily. With the veil your emotions and your body language don’t exist. It’s like a box around you. Like a prison. A wall between you and the world. Voiceless, faceless, speechless. In Iran the islamic mentality only wants you to make children. We have to break this wall". E poiché in Iran le donne non possono arrampicare insieme agli uomini è auspicabile che anche questo muro venga abbattuto.
È il silenzio a separare la verità dalla menzogna, ma questo è il tempo della parola scritta nella pietra: grazie quindi a Maurizio Oviglia, Renato Giustetto e Gian Maria Grassi e naturalmente a Nasim per il suo impegno in favore di tutti, perché un mondo abitato da donne libere sarà un mondo diverso.
Emanuela Provera
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