Trip Two Patagonia 2006: le mille emozioni di una doppia avventura

Se il Trip One l’avevamo soprannominato un "villaggio vacanze per alpinisti indipendenti" con difficili scalate



Se il Trip One l'avevamo soprannominato un "villaggio vacanze per alpinisti indipendenti" con difficili scalate in quota ma con un comodo e "servito" campo base di stile himalaiano, il secondo viaggio - Trip Two - di UP Project ha preso altre sembianze: un ambiente più alpino ma anche un lungo "combattimento" fatto di tante attese, svariati tentativi, incidenti lievi e diverse incertezze.

Così è l'alpinismo in Patagonia: una scommessa.

C'erano due obiettivi di spessore per due team e due mesi differenti.

La Nordovest del Cerro Piergiorgio, una parete ancora inviolata e che molti definiscono la più "linda" e nascosta della regione del Fitz Roy, e l'ancor meno conosciuta Nordest del Monte San Lorenzo, colosso di ghiaccio e misto situato nel Nord della Cordigliera Patagonica.

In UP la chiamiamo la "banda" ed anche questa volta era bella eterogenea. Il sottoscritto come ideatore del progetto, l'eclettico valdostano Hervé Barmasse come miglior spalla che si possa avere in ogni terreno, il giovanissimo valtellinese Elia "Panda" Andreola come cavallo da corsa saltato qui dallo scialpinismo competitivo, ed infine due talenti affermati della roccia e del ghiaccio alpino come l'altoatesino Kurt Astner ed il bergamasco Yuri Parimbelli, guide alpine ed entrambi prontissimi a giocare le carte nel loro primo trip patagonico. Per il San Lorenzo ad inizio marzo sarebbero invece arrivati due che in Patagonia erano già stati baciati da tanta fortuna e avevano risposto con classe: il valtellinese Giovanni Ongaro e lo svizzero Lorenzo "Pala" Lanfranchi, vogliosi di conoscere una nuova zona dopo aver già messo nel sacco cime da sogno come il Cerro Torre, il Fitz Roy. Il team veniva infine completato con un determinatissimo giovane alpinista comasco alla sua prima esperienza fuori dalle Alpi, il "Berna" Matteo Bernasconi.


CRONACA DELLA SCALATA AL CERRO PIERGIORGIO
Quasi mille metri di eccellente e verticale granito con alcune linee immaginate e già provate da cordate internazionali. La nostra idea era ripercorrere e terminare il tentativo "Gringos Locos" (Giordani-Maspes 1995) che si era spinto fino a tre quarti del muro roccioso.

Un mese solo era il tempo a disposizione per la scalata di questa big wall. La prima scommessa, trovare almeno 5 o 6 giorni di meteo ideale e senza vento.

Sbarcati nell'America del Sud, inizia una corsa avanti ed indietro dalla Valle del Rio Electrico, trasportando tutto il materiale da scalata fin sotto la parete, distante 30 km dalle ultime strade.

Le condizioni secche dei ghiacciai obbligano ad un campo base con due tende e non, come auspicato, in una più comoda e sicura truna nella neve. Si sfruttano subito i primi due giorni di bel tempo ed il team sale 7 lunghezze di corda, con difficoltà fino al 7a/b e A3.


Lunedì 20 febbraio pare per tutti il giorno decisivo: terza giornata di scalata e la possibilità di mettere una decisa ipoteca su un prossimo assalto in stile alpino verso la vetta. Nel pomeriggio però, mentre Barmasse, Astner e Parimbelli sono all'undicesima sosta della via, una frana di sassi parte da una cengia e rovina a valle, investendo in pieno Maspes e, in parte, le tende. Per Maspes, baciato dalla buona suerte, solo contusioni e ferite di varie dimensioni. Andreola invece, al riparo sotto un grosso masso sporgente al campo base, ne esce fortunatamente illeso.

Il team in parete si cala velocemente ed alla sera raggiunge il campo, provvedendo subito ad aiutare il compagno e capospedizione a scendere verso il paese per le prime cure.

Niente campo base sicuro e pericolo nel canale di accesso alla parete. La decisione unanime del gruppo è, a questo punto, quella di abbandonare il tentativo al Cerro Piergiorgio.

Nei 10 giorni restanti ancora un viaggio sotto lo parete per portare a valle il materiale restante. Si pensa a qualche scalata più "veloce" in caso di ritorno del bel tempo.

Un primo successo viene raggiunto con due cordate che salgono l'Aguja Guillaumet. Astner e Parimbelli per la classica via "Fonrouge", Barmasse e Andreola lungo via "Brenner" . Due salite veloci e parallele con un arrivo quasi in contemporanea sulla vetta.

Poi, poco prima del rientro del gruppo in Italia, compare ancora un ultima finestra di tempo buono.

Partiti nel pomeriggio da Chaltén i quattro di UP salgono fino al Passo Superior dove passano la notte in una cueva di neve, con l'idea di tentare l'indomani la scalata dell'Aguja Poincenot, il più grosso dei satelliti del Fitz Roy. Una delle poche salite fattibili dopo le nevicate ed i primi freddi dell'autunno in arrivo. Al mattino, senza Astner bloccato dal mal di stomaco, Barmasse, Parimbelli ed Andreola raggiungono la base della parete e riescono a salire la via "Whillans" di questa cima.

Per il primo UP team, questo Trip Two è un'avventura un po' rocambolesca ma con un bilancio che comunque valuta positivo. In solo un mese di tempo, prima il bel tentativo sul Piergiorgio, interrotto per cause oggettive, seguito dalle le ripetizioni di tre vie che da sole forse varrebbero già la felicità di una spedizione alpinistica in queste zone tormentate dal maltempo.


CRONACA DELLA SCALATA AL MONTE SAN LORENZO
Arriva l'autunno patagonico ed un'altra banda di UP plana in Argentina. Maspes torna a casa zoppicante e Barmasse attende i nuovi compagni nel pueblo di Perito Moreno. Per arrivare alla base del San Lorenzo si decide di passare la frontiera ed entrare dal suo lato cileno partendo dal paese di Chochrane. Due giorni a piedi ed il campo base è montato in fondo alla laguna che precede i ghiacciai della montagna. Comincia qui una lunga attesa sotto un cielo che mai promette qualcosa di buono: umidità, neve, un po' di freddo… La parete Nordest compare raramente ma basta uno sguardo per capire che i canali di ghiaccio e neve che consentirebbero una salita sicura non sono in condizioni praticabili. Si pensa quindi ad un'altra linea di salita, segnata dal grande canalone sulla parete Nord. Passano quasi due settimane ed il quartetto di UP è però ancora bloccato in basso, solo con una piccola cueva di neve scavata durante una ricognizione sotto la parete.

Domenica 26 marzo al campo base piove ancora ma Barmasse, Ongaro, Lanfranchi e Bernasconi, speranzosi in un miglioramento del tempo, si portano al campo avanzato ed il giorno dopo, sotto un cielo coperto, risalgono il ghiacciaio battendo la traccia in oltre mezzo metro di neve fresca. Arrivano sul colle dove nelle settimane precedenti avevano scavato una truna di neve e era stato lasciato una parte di materiale. Purtroppo le fitte nevicate hanno coperto tutto.

Viene scavata una nuova cueva con un pentolino da cucina (!), poi tutti a nanna.

Il mattino del 28 marzo il cielo è ancora coperto, ma la pressione è alta. All'alba il team comincia la sua scalata verso la vetta superando prima un muro con due tiri di ghiaccio fino ad 80° di pendenza, un tratto che dà accesso al canale che è stato individuato come direttiva per questa nuova via. Dopo le prime difficoltà, i quattro entrano nel grande canalone. Lo percorrono dapprima sul fondo, poi nei suoi lati per quasi 1000 metri, fin sotto il muro sommitale del San Lorenzo.

Da qui alla cima, il tratto chiave della scalata: lungo una goulotte a forma di S che permette alla cordata di raggiungere il lato destro del fungo di ghiaccio sommitale.

Alle 16 il team è in vetta al San Lorenzo, dopo circa 10 ore di scalata. Una salita rapida e senza riposo che diventa la prima via tracciata sulle più ripide pareti di questa montagna.

Un bellissimo successo che sigla la fine del Trip Two di UP Project.

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