Valzer per un amico
C'è una montagna che non si racconta quasi mai. E' quella dove si fatica. E, non a caso, è anche quella dove si fa sempre più fatica a restare. E' la montagna di tutti i giorni. Quella da cui si scappa. Quella defilata e meno conosciuta. Quella fatta di monti perlopiù anonimi. Ma è anche la stessa montagna degli uomini che ci sono nati. Che la curano, la abitano, la attraversano e, a volte, la maledicono tanto le sono attaccati. E' questa parte di mondo che ci racconta Erminio Ferrari nel suo Valzer per un amico. Di questo parlano i suoi cinque racconti: di monti, di boschi, di uomini, di animali e della loro vita mai facile, mai comprensibile fino in fondo.
Parla di radici Ferrari. Di quella prima salita del Sass in Pe che ha molto a che fare con un senso primordiale per la vetta e, forse, anche con un alpinismo che non sa neanche di essere tale. E parla di memoria. Quella della Valgranda attraversata e rivisitata. Un tragitto per non dimenticare la storia, e quelle tante sue storie, che bisogna ricordare. Come il dramma della guerra e dei massacri. Come quell'andare in montagna che voleva dire lottare per la vita e la libertà.
Una libertà che ha un po' a che fare anche con Cesare e il suo allevamento di capre. La sua è una lotta impari ed enorme, quasi ingenua, per non perdere il rapporto con quella terra che l'ha visto nascere. Per non perdere del tutto il contatto con chi l'ha preceduto. Per riaffermare e cercare la propria identità. Per vivere, in fondo. Come cerca di fare anche Bruno, da amico fedele ma anche un po' ramingo e imperscrutabile come richiedono queste terre alte e solitarie. Come fa la musica che, non si sa bene né in che modo né perché, alla fine riesce a catturare pure i ricordi più lontani. Come le emozioni di una vetta, di un amico e di un valzer che si perde nell'aria sottile.