la montagna inventata
La montagna inventata è un film con dentro tante storie – mai troppe, per fortuna – tutte vere ma tutte fantasticabili. Forse perché tutte le imprese alpinistiche hanno quel pizzico di mistero o, se volete, di "follia" che le trasforma in leggende. Un film per alpinisti, ma che dice qualcosa anche a chi, in montagna, non ci va affatto.
Planetmountain
Anno
2000
Produttore
Enrico Camanni, Vincenzo Pasquali
Recensitore
Luca Ferrario
Pagine
66’
Lingua
Italiano
Un applauso, che avrebbe fatto venire giù un teatro, saluta la trionfante arrampicata di Catherine Destivelle sulla parete-palcoscenico di Bardonecchia. Il pubblico si spella le mani per questa graziosa francesina, vincitrice del primo campionato mondiale di freeclimbing nel 1985. Così finisce La montagna inventata (Italia, 2000, 66’), il film di Camanni & Pasquali sulla storia dell’alpinismo.
Isolata in una casa di campagna una giornalista (Roberta Fornier), profana di montagna, cerca di scrivere un articolo sulla storia dell’alpinismo. Camanni & Pasquali aiutano la protagonista a scorrere i duecento anni dell’epopea alpinistica con un sapiente dosaggio di vecchie foto, filmati d’epoca, ricostruzioni filmate recenti e panoramici voli d’uccello sulle Alpi. Una voce fuori campo da fiato alle emozioni dei protagonisti che superano il silenzio della lontananza.
L’epopea inizia il 15 agosto 1778, per nostalgia. Sette giovani gressonari «salgono al Colle del Lys in cerca della valle perduta dai loro padri». Anni dopo il naturalista H. B. de Saussure scala il Monte Bianco al solo scopo di effettuare osservazioni scientifiche, tanto che calpesta la neve della cima «più con collera che con un sentimento di piacere».
Da subito è evidente la contrapposizione tra chi salirà le montagne con un carico di ideali e chi cavalcherà le creste con il pragmatismo della tecnica. Ma Camanni & Pasquali non si limitano a mettere in fila le imprese alpinistiche, aggiungono anche qualche tranche de vie in modo da fornire quel po’ di fascino alla personalità dei rocciatori e pennellare alla meglio le stagioni dell’alpinismo.
Qualche perla: Primi del novecento, ecco Paul Preuss – inflessibile interprete dell’arrampicata libera, che si sfracellerà a soli 27 anni – rinnegare come satana il chiodo da roccia, mentre Tita Piaz, guida aperta all’innovazione, lo difende a spada tratta perché, il chiodo, serve a salvare la vita. Vigilia della II° guerra mondiale, va in scena l’alpinismo in camicia bruna. Tra sogno e retorica molti giovani alpinisti del terzo Reich, sospinti dalla propaganda nazista, muoiono nella sfida all’Eiger.
Dopo la guerra si cambia registro. Nascono i Gruppi Alpinisti Operai, i Ragni di Lecco e i Pel e Oss di Monza. Da Monza arriva anche un fortissimo: Walter Bonatti. Intanto dall’Europa fanno rotta verso l’Himalaya le più agguerrite spedizioni nazionali per dare l’assalto agli ottomila. I francesi conquistano l’Annapurna, gli inglesi si impossessano dell’Everest, gli austriaci espugnano il Cho Oyu, gli italiani vincono il K2.
Nello stesso periodo Herman Buhl scala, da solo – e da quelle parti non si era mai veduto –, il Nanga Parbat. L’impresa di Buhl costituisce una linea di transito; come una faglia geologica che, all’improvviso, accosta il vecchio al nuovo.
Fine anni ’60, tra le splendide pareti della Yosemite Valley spira un vento nuovo: si inizia ad arrampicare pulito nel rispetto della roccia. Gli alpinisti del nuovo mattino (Calcagni, Cozzolino, Gogna, Grassi, Messner e tutti gli altri) «rifiutano gli obblighi sacrificali e la lotta con l’alpe». Certe abitudini, come arrivare alla base delle pareti quando il sole è già alto e in compagnia di donne, il preferire le vie più assolate e i vestiti più colorati, il chiamare le nuove vie: “Luna nascente” o “Itaca nel sole”, sono tutte singolarità, apparentemente insignificanti, che hanno cambiato sapore all’arrampicata e hanno messo in luce uomini con un fondo formidabile.
1982, il francese Cristoph Profit sale la via diretta “americana” al Petit Drue in 3 ore e 14 minuti. Poi, in un solo giorno, scala le tre mitiche pareti nord del Cervino, dell’Eiger e delle Grand Jorasses. Quel giorno Profit assassinò la fantascienza.
La montagna inventata è un film con dentro tante storie – mai troppe, per fortuna – tutte vere ma tutte fantasticabili. Forse perché tutte le imprese alpinistiche hanno quel pizzico di mistero o, se volete, di "follia" che le trasforma in leggende. Un film per alpinisti, ma che dice qualcosa anche a chi, in montagna, non ci va affatto.
Isolata in una casa di campagna una giornalista (Roberta Fornier), profana di montagna, cerca di scrivere un articolo sulla storia dell’alpinismo. Camanni & Pasquali aiutano la protagonista a scorrere i duecento anni dell’epopea alpinistica con un sapiente dosaggio di vecchie foto, filmati d’epoca, ricostruzioni filmate recenti e panoramici voli d’uccello sulle Alpi. Una voce fuori campo da fiato alle emozioni dei protagonisti che superano il silenzio della lontananza.
L’epopea inizia il 15 agosto 1778, per nostalgia. Sette giovani gressonari «salgono al Colle del Lys in cerca della valle perduta dai loro padri». Anni dopo il naturalista H. B. de Saussure scala il Monte Bianco al solo scopo di effettuare osservazioni scientifiche, tanto che calpesta la neve della cima «più con collera che con un sentimento di piacere».
Da subito è evidente la contrapposizione tra chi salirà le montagne con un carico di ideali e chi cavalcherà le creste con il pragmatismo della tecnica. Ma Camanni & Pasquali non si limitano a mettere in fila le imprese alpinistiche, aggiungono anche qualche tranche de vie in modo da fornire quel po’ di fascino alla personalità dei rocciatori e pennellare alla meglio le stagioni dell’alpinismo.
Qualche perla: Primi del novecento, ecco Paul Preuss – inflessibile interprete dell’arrampicata libera, che si sfracellerà a soli 27 anni – rinnegare come satana il chiodo da roccia, mentre Tita Piaz, guida aperta all’innovazione, lo difende a spada tratta perché, il chiodo, serve a salvare la vita. Vigilia della II° guerra mondiale, va in scena l’alpinismo in camicia bruna. Tra sogno e retorica molti giovani alpinisti del terzo Reich, sospinti dalla propaganda nazista, muoiono nella sfida all’Eiger.
Dopo la guerra si cambia registro. Nascono i Gruppi Alpinisti Operai, i Ragni di Lecco e i Pel e Oss di Monza. Da Monza arriva anche un fortissimo: Walter Bonatti. Intanto dall’Europa fanno rotta verso l’Himalaya le più agguerrite spedizioni nazionali per dare l’assalto agli ottomila. I francesi conquistano l’Annapurna, gli inglesi si impossessano dell’Everest, gli austriaci espugnano il Cho Oyu, gli italiani vincono il K2.
Nello stesso periodo Herman Buhl scala, da solo – e da quelle parti non si era mai veduto –, il Nanga Parbat. L’impresa di Buhl costituisce una linea di transito; come una faglia geologica che, all’improvviso, accosta il vecchio al nuovo.
Fine anni ’60, tra le splendide pareti della Yosemite Valley spira un vento nuovo: si inizia ad arrampicare pulito nel rispetto della roccia. Gli alpinisti del nuovo mattino (Calcagni, Cozzolino, Gogna, Grassi, Messner e tutti gli altri) «rifiutano gli obblighi sacrificali e la lotta con l’alpe». Certe abitudini, come arrivare alla base delle pareti quando il sole è già alto e in compagnia di donne, il preferire le vie più assolate e i vestiti più colorati, il chiamare le nuove vie: “Luna nascente” o “Itaca nel sole”, sono tutte singolarità, apparentemente insignificanti, che hanno cambiato sapore all’arrampicata e hanno messo in luce uomini con un fondo formidabile.
1982, il francese Cristoph Profit sale la via diretta “americana” al Petit Drue in 3 ore e 14 minuti. Poi, in un solo giorno, scala le tre mitiche pareti nord del Cervino, dell’Eiger e delle Grand Jorasses. Quel giorno Profit assassinò la fantascienza.
La montagna inventata è un film con dentro tante storie – mai troppe, per fortuna – tutte vere ma tutte fantasticabili. Forse perché tutte le imprese alpinistiche hanno quel pizzico di mistero o, se volete, di "follia" che le trasforma in leggende. Un film per alpinisti, ma che dice qualcosa anche a chi, in montagna, non ci va affatto.
Anno
2000
Produttore
Enrico Camanni, Vincenzo Pasquali
Recensitore
Luca Ferrario
Pagine
66’
Lingua
Italiano