La metafora dell'alpinismo
Mummery e Preuss, Maestri e Messner e l'alpinismo come antidoto al consumismo e alla città globale.
Planetmountain
Anno
2010
Editore
Liaison editrice
Recensitore
Paola Lugo
Prezzo
12 Euro
Pagine
67
Lingua
italiano
ISBN
978-88-95586-13-7
E’ ancora possibile parlare dell’eterno dilemma della morte del chiodo dicendo qualcosa di nuovo? Sì, può essere possibile e addirittura intrigante e stimolante, se parlare di Mummery e Preuss, Maestri e Messner diventa un’occasione per riflettere su ben altro, ovvero sull’alpinismo come antidoto al consumismo e alla città globale.
Il piccolo saggio di Enrico Camanni pubblicato dalla casa editrice Liaison di Courmayeur (evviva evviva un’altra piccola realtà editoriale di grande qualità, con un catalogo coraggioso e necessario) parte come una breve storia alpinistica in pillole, una specie di agile e piacevole riassunto delle due anime dell’alpinismo classico: da una parte Mummery che rinuncia alla salita del Dente del Gigante poiché Absolutely inaccessible by fair means, e dall’altra Maquignaz che assale la parete di granito con ogni mezzo, scale scalette pioli e picconi, e giunge trionfalmente sulla cima. E poi ancora il gigantismo himalayano delle grandi spedizioni nazionali del secondo dopoguerra, contrapposto a Boardman e Tasker che salgono in stile alpino la montagna di luce, il Changabang con la leggerezza di due studenti in viaggio, per finire con la (non più…) recente diatriba spit sì spit no.
Se La metafora dell’alpinismo fosse tutta qui, sarebbe una piccola delusione. Nulla togliendo alla scrittura di Enrico Camanni che sa raccontare vicende sapute e risapute riuscendo a non annoiare (perché ama ciò di cui scrive, mantenendo al tempo stesso una bella dose di ironia – vedi lo sdegno dei puristi che gridano allo scandalo quando compaiono i moschettoni, per poi correre a comprarseli…), è un po’ difficile dopo tanti fiumi di inchiostro e di parole riuscire ancora ad appassionarsi alla discussione tra chi vede il salire un pezzo di roccia come pura pratica sportiva, e chi cerca l’avventura dell’inutile e del rischio. A meno che… a meno che non vi sia un ultimo capitolo intitolato Una risposta a Pasolini. Dove capiamo che tutto quello di cui si è parlato nelle 60 pagine precedenti serviva a introdurre la contraddizione fondamentale tra “sviluppo” e “progresso” che Pasolini già nel 1974 aveva lucidamente individuato.
Allora le infinite discussioni tra chi addomestica le montagne con la tecnica e chi cerca di salvare il povero drago assediato assumono un altro peso. Camanni definisce il duello tra chiodi e fantasia un gioco gratuito e imprevedibile, una pratica dell’inutile assolutamente necessaria nel mondo della città globale, dove tutto è previsto e monetizzato. Se è vero che la conquista dell’inutile come essenza dell’alpinismo non è certo un concetto nuovo, è bene ogni tanto che gli alpinisti, bambini testardi, litigiosi e passionali, ogni tanto se ne ricordino.
Un unico appunto: il libro finisce troppo presto. Ovvero, dopo averci aperto un fertile terreno di riflessione, il libro si conclude bruscamente con un pensiero decisamente ottimista sul destino dell’inutile. E lasciandoci con la voglia di continuare a pensarci e a parlarne.
Paola Lugo
Il piccolo saggio di Enrico Camanni pubblicato dalla casa editrice Liaison di Courmayeur (evviva evviva un’altra piccola realtà editoriale di grande qualità, con un catalogo coraggioso e necessario) parte come una breve storia alpinistica in pillole, una specie di agile e piacevole riassunto delle due anime dell’alpinismo classico: da una parte Mummery che rinuncia alla salita del Dente del Gigante poiché Absolutely inaccessible by fair means, e dall’altra Maquignaz che assale la parete di granito con ogni mezzo, scale scalette pioli e picconi, e giunge trionfalmente sulla cima. E poi ancora il gigantismo himalayano delle grandi spedizioni nazionali del secondo dopoguerra, contrapposto a Boardman e Tasker che salgono in stile alpino la montagna di luce, il Changabang con la leggerezza di due studenti in viaggio, per finire con la (non più…) recente diatriba spit sì spit no.
Se La metafora dell’alpinismo fosse tutta qui, sarebbe una piccola delusione. Nulla togliendo alla scrittura di Enrico Camanni che sa raccontare vicende sapute e risapute riuscendo a non annoiare (perché ama ciò di cui scrive, mantenendo al tempo stesso una bella dose di ironia – vedi lo sdegno dei puristi che gridano allo scandalo quando compaiono i moschettoni, per poi correre a comprarseli…), è un po’ difficile dopo tanti fiumi di inchiostro e di parole riuscire ancora ad appassionarsi alla discussione tra chi vede il salire un pezzo di roccia come pura pratica sportiva, e chi cerca l’avventura dell’inutile e del rischio. A meno che… a meno che non vi sia un ultimo capitolo intitolato Una risposta a Pasolini. Dove capiamo che tutto quello di cui si è parlato nelle 60 pagine precedenti serviva a introdurre la contraddizione fondamentale tra “sviluppo” e “progresso” che Pasolini già nel 1974 aveva lucidamente individuato.
Allora le infinite discussioni tra chi addomestica le montagne con la tecnica e chi cerca di salvare il povero drago assediato assumono un altro peso. Camanni definisce il duello tra chiodi e fantasia un gioco gratuito e imprevedibile, una pratica dell’inutile assolutamente necessaria nel mondo della città globale, dove tutto è previsto e monetizzato. Se è vero che la conquista dell’inutile come essenza dell’alpinismo non è certo un concetto nuovo, è bene ogni tanto che gli alpinisti, bambini testardi, litigiosi e passionali, ogni tanto se ne ricordino.
Un unico appunto: il libro finisce troppo presto. Ovvero, dopo averci aperto un fertile terreno di riflessione, il libro si conclude bruscamente con un pensiero decisamente ottimista sul destino dell’inutile. E lasciandoci con la voglia di continuare a pensarci e a parlarne.
Paola Lugo
Anno
2010
Editore
Liaison editrice
Recensitore
Paola Lugo
Prezzo
12 Euro
Pagine
67
Lingua
italiano
ISBN
978-88-95586-13-7