Himalaya
L'infanzia di un capo
Il fascino della grande natura, e la lotta dell'uomo per sopravvivere tra i grandi spazi incontaminati, rivivono in questa Storia dell'infanzia di un capo, raccontata da Eric Valli. Un racconto che ha i colori antichi ed aspri del leggendario territorio himalayano dell'alto Dolpo. Un film proiettato nelle sale cinematografiche di tutto il mondo.
Planetmountain
Anno
2000
Recensitore
Vinicio Stefanello
Lingua
Italiano
E' una strana sensazione quella che prende dopo aver visto Himalaya, o meglio sono tante le sensazioni. Prima fra tutte un indefinito 'dispiacere' che sia arrivato il momento dei titoli di coda. Il film è finito ma vorresti subito rivederlo e continuare ad immergerti in quel lontano, durissimo, leggendario mondo himalayano dell'alto Dolpo. Indefinito forse proprio perchè non ci si rende conto bene quali tasti sia andato a toccare, quali nascoste emozioni abbia smosso.
Un'amica mi aveva parlato di un bel film. Del senso di 'nostalgia' che le aveva lasciato. Nostalgia come quella provata per certe storie sugli indiani d'America, per un'esistenza faticosa e terribile, così lontana ed estranea al nostro mondo ma, forse proprio per questo, così vera e sostanziale. Aveva ragione lei.
Non so quanto questo possa far parte di un antica percezione, ormai persa nel tempo, ma è innegabile il fascino che immancabilmente suscita la grande natura, e la lotta dell'uomo per sopravvivere tra i grandi spazi incontaminati. Ed ha i colori, la luce propria della natura, questa storia dell'infanzia di un capo, raccontata da Eric Valli. I colori antichi ed aspri di una poesia semplice ed innata. Poesia della necessità, come faticosa, epica, e a volte tragica, accettazione della vita per quello che è. Ma anche poesia della fierezza, della consapevolezza, della lotta e del superare le difficoltà. Ed, ancora, dell'innocente, divertito e curioso guardare del bambino al mondo.
Sono molti i 'piani' e le emozioni sui quali si sviluppa il film, autentica storia leggendaria dei grandi uomini delle più alte terre. Ed è una storia con molti protagonisti. Il villaggio, comunità che solo nell'unità trova la forza per soddisfare i bisogni di tutti. La carovana per trasportare il sale, il viaggio 'rituale' al di là e attraverso le difficoltà della montagna, vissute come difficoltosa e pericolosa necessità che sta alla base dell'esistenza. Tinlé il vecchio capo, costretto dalla tragica morte del figlio a rappresentare la continuità con le tradizioni che si scontrano con la voglia di cambiare del giovane Karma.
Pasang il piccolo nipote di Tinlè, predestinato ad essere il futuro capo villaggio, che stempera con la semplicità propria dei bambini le tensioni e trova la chiave per la continuità tra il vecchio capo e il suo successore. La moglie di Tinlè e la giovane vedova del figlio, grandi donne portatrici di quella universale saggezza che deriva dall’essere il centro della vita e la sua continuità. Il lama Norbou, che lascia il monastero per aiutare l'anziano padre Tinlè. E tutti gli altri abitanti - protagonisti di quell'alto e sperduto villaggio himalayano, così veri e sinceri.
Così veri e sinceri nel rappresentare la loro stessa vita da renderla immediatamente reale e percepibile attraverso lo schermo. Una vita che merita quel gran dipinto epico che il lama Norbu dedica alla vicenda narrata nel film. Un dipinto dove forse vorremmo stare anche noi, colpiti da quella 'nostalgia' di cui si diceva all'inizio... certo non nella parte dei 'visi pallidi' del generale Custer.
Un'amica mi aveva parlato di un bel film. Del senso di 'nostalgia' che le aveva lasciato. Nostalgia come quella provata per certe storie sugli indiani d'America, per un'esistenza faticosa e terribile, così lontana ed estranea al nostro mondo ma, forse proprio per questo, così vera e sostanziale. Aveva ragione lei.
Non so quanto questo possa far parte di un antica percezione, ormai persa nel tempo, ma è innegabile il fascino che immancabilmente suscita la grande natura, e la lotta dell'uomo per sopravvivere tra i grandi spazi incontaminati. Ed ha i colori, la luce propria della natura, questa storia dell'infanzia di un capo, raccontata da Eric Valli. I colori antichi ed aspri di una poesia semplice ed innata. Poesia della necessità, come faticosa, epica, e a volte tragica, accettazione della vita per quello che è. Ma anche poesia della fierezza, della consapevolezza, della lotta e del superare le difficoltà. Ed, ancora, dell'innocente, divertito e curioso guardare del bambino al mondo.
Sono molti i 'piani' e le emozioni sui quali si sviluppa il film, autentica storia leggendaria dei grandi uomini delle più alte terre. Ed è una storia con molti protagonisti. Il villaggio, comunità che solo nell'unità trova la forza per soddisfare i bisogni di tutti. La carovana per trasportare il sale, il viaggio 'rituale' al di là e attraverso le difficoltà della montagna, vissute come difficoltosa e pericolosa necessità che sta alla base dell'esistenza. Tinlé il vecchio capo, costretto dalla tragica morte del figlio a rappresentare la continuità con le tradizioni che si scontrano con la voglia di cambiare del giovane Karma.
Pasang il piccolo nipote di Tinlè, predestinato ad essere il futuro capo villaggio, che stempera con la semplicità propria dei bambini le tensioni e trova la chiave per la continuità tra il vecchio capo e il suo successore. La moglie di Tinlè e la giovane vedova del figlio, grandi donne portatrici di quella universale saggezza che deriva dall’essere il centro della vita e la sua continuità. Il lama Norbou, che lascia il monastero per aiutare l'anziano padre Tinlè. E tutti gli altri abitanti - protagonisti di quell'alto e sperduto villaggio himalayano, così veri e sinceri.
Così veri e sinceri nel rappresentare la loro stessa vita da renderla immediatamente reale e percepibile attraverso lo schermo. Una vita che merita quel gran dipinto epico che il lama Norbu dedica alla vicenda narrata nel film. Un dipinto dove forse vorremmo stare anche noi, colpiti da quella 'nostalgia' di cui si diceva all'inizio... certo non nella parte dei 'visi pallidi' del generale Custer.
Anno
2000
Recensitore
Vinicio Stefanello
Lingua
Italiano