Per Adriano Trombetta
Per gli amici: il Tromba, Trombone, Trombacher quasi mai realmente contro, molto spesso sopra le righe ma quasi sempre fuori dagli schemi. Spesso additato da alcuni per aver compiuto secondo i canoni tradizionali delle azioni non del tutto etiche era altrimenti amatissimo da suoi tanti estimatori. Adriano Trombetta era un ottimo professionista ed il lavoro da Guida alpina gli permetteva, senza dover troppo sottostare alle regole del costume attuale, di campare decorosamente.
Ebbi modo più volte di dirgli che con quel suo modo di vivere, sotto certi aspetti un po naif, mi ricordava moltissimo Giancarlo Grassi il quale al posto di monetizzare una delle sue realizzazioni preferiva dedicarsi anima e corpo a quella successiva, senza che questa dovesse essere per forza una cosa grandiosa per il pubblico. A lui come ad Adriano bastava che le cose che facevano fossero grandi e belle per loro.
Uomo di grandi qualità umane e culturali, poteva tranquillamente intrattenerti parlando con competenza dell’ adagio di Albinoni (e non era quello del Couloir al Bianco) piuttosto che dei pittori del '700. Sapeva di storia di arte e di donne come pochi, prima fra tutte la sua adorata nonna. La cucina poi era una delle sue passioni ed una sera a casa di amici a Dolonne in valle d’Aosta, l’abbiamo visto in meno di un'ora, mettere a tavola con successo, quasi trenta persone.
Credo che i Nas siano nati per indagare a fondo sulle colonie di batteri che gozzovigliavano nel cassone del suo rombante Scudo Fiat dove trascorreva il tempo durante le sue scorribande arrampicatorie. L’interno di questo era dotato, si fa per dire, di ogni comfort, dalle scritte per il training autogeno del tipo: Non esistono vie dure! ma solo braccia troppo deboli per farle, alla cucina al soggiorno alla camera da letto il tutto in due soli metri quadri. Non so se fosse un genio dell’architettura ma la cosa più stupefacente erano le prestazioni dello stesso che una volta “lanciato a fuoco” (tutta velocità) su di una salita ripida e ghiacciata ci ha ri-depositato al fondo di questa sbatacchiando al contrario a destra e sinistra senza nemmeno ammaccarsi troppo.
Talvolta, l’ambiente alpinistico Torinese quando era ragazzo, forse non comprendendolo sino in fondo, lo trascurava un pochino “dimenticandosi” talvolta di andare a prenderlo agli appuntamenti ma questo non è che lo facesse demordere anzi accresceva in lui la voglia di imporsi. Così è riuscito a diventare uno dei più forti fessuristi delle Alpi occidentali dove in compagnia di tanti amici ha aperto delle vie di roccia, di ghiaccio o di dry tooling, di notevole livello ed ora la sua foto campeggia sulla copertina del libro di Maurzio Oviglia sulla valle dell’Orco. La sua figura di tracciatore e di speaker all’annuale meeting dell’ Ice park di Ceresole Reale era diventata irrinunciabile in quanto con una proprietà non comune di linguaggio e con la sua proverbiale disinvoltura riusciva per ore a calamitare l’attenzione del pubblico.
Il suo modo di aprire gli itinerari ledge to ledge spesso faceva infuriare i ripetitori che sovente dovevano fare il conto con dei tiraggi di corda da camion appeso alle mutande, ma tant’è che lui era così e così andava preso.
Ah sì dimenticavo, questo pezzetto è tutto scritto con i verbi al passato perché purtroppo per noi venerdì 17 febbraio 2017 (che dicano ancora che il venerdì 17 non porta sfiga) ha deciso di togliere il disturbo levandoci il piacere di volergli bene e quel sottile gusto che spesso avevamo nel criticare il milione di cose che faceva.
Ora con chi ce la prenderemo? Adri ci mancherai.
di Elio Bonfanti