‘La montagna un’opportunità educativa’. L’intervista Elbec alla guida alpina Giovanni Zaccaria

Intervista alla guida alpina veneta Giovanni Zaccaria.
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Giovanni Zaccaria sul Cerro Piergiorgio in Patagonia , durante la prima salita di Scrumble de Manzana
Giovanni Zaccaria

Ci sono giornate in cui le montagne si coprono alla vista degli uomini: si chiudono in un cappotto di nubi e rinnovano la coperta di neve che le rivestono. In quelle giornate, ai frequentatori delle terre alte, non resta che rimanere giù a valle in attesa che il maltempo finisca e che le vie di salita tornino sicure. È proprio in una delle rare perturbazioni che si sono affacciate in questo inverno arido, che ho potuto scambiare due chiacchiere con Giovanni Zaccaria, Guida Alpina veneta che vede nella montagna un’opportunità educativa.

 

Finalmente un po’ di neve sulle Alpi. Oggi riposo forzato?

Sì, sarei dovuto andare ad Ovest, ma dopo lunghi pensamenti, ho dovuto annullare. Ieri pomeriggio ho contattato i clienti per avvisarli. Quando fai un lavoro che ti piace è sempre un po’ faticoso cancellare un’uscita, hai tanta voglia di andare, ma sono cose che capitano.

Di dove sei?

Sono nato ad Arzignano, in provincia di Vicenza, ma ho sempre vissuto a Padova, appena fuori dalle mura, quindi abbastanza in centro. Ho avuto la fortuna che mio nonno, a suo tempo, ha preso una piccola casetta in Val di Zoldo, che era divisa in quattro appartamenti e li ha dati ai figli. Ho così potuto frequentare la montagna fin da piccolo assieme a tutti i miei parenti, perché quella casa era il punto di ritrovo della famiglia.

Il tuo approccio alla montagna è iniziato lì?

Si, ho iniziato a camminare facendo escursioni e qualche ferrata con i nonni. Poi è arrivato lo sci e a dieci anni ho iniziato a stressare i miei genitori con le gare di discesa. Volevo fare anch’io quella cosa che vedevo fare agli altri bambini sulle piste. Poi in realtà, quello che secondo me è stato un po’ il mio approccio, diciamo maturo, alla montagna, è stato quando a 16-17 anni ho iniziato a fare scialpinismo. All’epoca non arrampicavo ancora, poi piano piano conosci persone che fanno un po’ tutte le attività e ti viene voglia di provare. Una cosa tira l'altra.

Fino all’idea di diventare guida alpina.

Poi, crescendo, ho vissuto a Lisbona e a Zurigo, dove ho studiato prima ingegneria dei materiali, poi ingegneria chimica e infine ingegneria biologica. Quando mi sono laureato, ho dato un po’ di ripetizioni e ho iniziato a fare lavori su fune, soprattutto potature di alberi in quota con le corde. Per un breve periodo ho vissuto sui Colli Euganei con Alice, la mia ragazza, vicino a Padova, in una casetta molto semplice in mezzo al bosco. Quello è stato il primo passo fuori dalla città. Dopo circa un anno, ci siamo spostati in Dolomiti, prima nella casetta d’infanzia e ora abbastanza stabilmente a Caprile, dove dal 2018 ho iniziato a lavorare come Aspirante Guida Alpina e dal 2021 come Guida Alpina UIAGM.

Mi è piaciuta molto una frase che ho letto sul tuo sito: “Ho realizzato che le montagne mi si addicevano più dei laboratori e le nuvole che si tingono di rosa più delle luci al neon”. C'è stato un momento esatto in cui hai detto “voglio dedicarmi completamente alla montagna”?

Anche se le folgorazioni, probabilmente, sono frutto di un percorso, io l'ho vissuta come tale. Mi ricordo esattamente un giorno, nel febbraio del 2013, in cui stavo camminando da solo nel parco di Sintra, una bellissima area verde vicino a Lisbona. Era il tramonto, la luce stava andando via. Stavo ragionando un po’ sulla mia vita, quello che funzionava, quello che non andava e cosa volevo fare. Stavo cercando di mettere ordine nei pensieri quando, di colpo, ho avuto una visione chiara. Ho detto “no, voglio vivere di montagna”. Da quel momento in poi mi è sembrato tutto, non dico in discesa, però che tutto andasse nella direzione giusta.

Vivere in una grande città come Lisbona può aver contribuito a prendere questa decisione?

Io penso che abbia influenzato soprattutto il fatto che mi ero trasferito a Lisbona da pochi mesi e avevo cambiato completamente vita. Prima, in Italia, avevo una vita molto piena, fatta di tanti impegni, sicuramente cose molto belle come gli scout, il cineforum ecc. Invece, arrivare a Lisbona, mi ha permesso di cominciare da zero, di avere una vita completamente vuota se non per gli impegni universitari. Avevo molto più tempo per pensare al momento presente. Questo mi ha probabilmente aperto un po’ gli occhi sulla strada che volevo intraprendere.

Nella tuo biografia descrivi l’alpinismo come “una perfetta scusa per viaggiare dentro me stesso e verso i miei limiti, esplorare luoghi lontani ed incontrare l'altro”. Cosa ti ha insegnato la montagna?

Di sicuro la montagna mi ha messo davanti a tante cose molto belle: spettacoli naturali, relazioni forti e vere. È l’ambiente in cui mi sono spinto verso i miei limiti e penso che nel momento in cui ci si confronta con una cosa che si pensa insormontabile, si provano delle emozioni molto forti che ti cambiano, sia per quanto riguarda la fiducia in te stesso, sia per quanto riguarda il dialogo interiore e la tua forza mentale. Sono quelle caratteristiche che poi ti permettono di non farti sopraffare dalle cose che sembrano più grandi di te, in montagna come nella vita di tutti i giorni.

Qual è, secondo te, il ruolo educativo che hanno la natura e la montagna?

Quello che noto è che c’è una mancanza di capacità delle persone di affrontare il momento presente, nel senso che tanti aspetti della nostra società ci portano a rimuginare sul passato e a preoccuparci del futuro, e anch’io non sono esente da questo. L'arrampicata e la montagna ci costringono invece a concentrarci sul momento e sullo spazio presente. Se iniziamo a perdere di vista come superare il passaggio che abbiamo davanti, perché guardiamo la cima che sta 200 metri sopra, allora siamo fregati. Dobbiamo essere la versione migliore di noi stessi in quel momento e in quel metro quadrato nel quale ci troviamo, allora arriveremo in cima. Penso che a tante persone piaccia andare in montagna proprio per questo effetto quasi terapeutico, a volte inconscio. Qualcuno magari non se ne accorge di questa cosa, però semplicemente nota che sta meglio e che torna a casa con uno stato d’animo migliore.

In un certo senso una sorta di mutamento.

Vedo che chi va in montagna, anche se non lo pensa o non lo vuole, dalla montagna viene un po’ cambiato. Tantissime persone affezionate vengono in montagna con me da anni e ora non facciamo le stesse cose che facevamo, ad esempio, tre anni fa. Questo perché c'è in loro una presa di consapevolezza di quello che è il corpo nello spazio, c'è una maggiore conoscenza dell'ambiente, si sentono più a loro agio in un posto inospitale e scomodo, ma che gli permette di vivere avventure sempre più grandi. E la cosa bella è che quasi tutti, mentre vengono con me a fare cose sempre più difficili, di pari passo prendono anche una strada verso l'autonomia. Molte volte, all'inizio, pensavo che questi clienti sarebbero continuati a venire in montagna con me mantenendo un rapporto un po’ stagnante di dipendenza, senza la capacità di evolvere. Invece sono sincero, sono stato molto stupito da tutti. Questa è stata la sorpresa più grande dei miei primi anni di lavoro da guida, non me lo aspettavo.

Una cosa che sicuramente è cambiata, soprattutto qui nell’arco alpino, è il clima. Quali sono i cambiamenti più rilevanti che vedi nell’attività di tutti i giorni?

In generale, le immagini di ghiaccio grigio, quelle dei ghiacciai in sofferenza, sono quelle che più mi colpiscono. Mi è capitato proprio stamattina che Facebook mi riproponesse un ricordo di otto anni fa sulle Dolomiti. Nella foto si vedevano le montagne completamente imbiancate. Per quanto in questi giorni sia un po’ fresco e ieri abbia nevicato un po', ormai è veramente una rarità e una benedizione la perturbazione che arriva. Una volta, invece, ti veniva quasi da dire “ma basta, non può essere bello per un po’”? Quello del cambiamento climatico è un processo di cui ero conscio che stesse accadendo, perché te lo dicono gli studi scientifici, però sta avvenendo in maniera davvero rapida.

Il cambiamento climatico, come la sostenibilità ambientale, è uno dei punti cardini di Elbec. Come sei venuto a conoscenza del marchio? Cosa ti ha colpito di più?

Non mi ricordo di preciso come sono venuto a conoscenza di Elbec; mi sembra di conoscerlo da sempre e probabilmente lo conosco da quando è nato. La prima volta che ho conosciuto Federico è stato quando volevo regalare delle sue calze per Natale e lui è stato super disponibile, e ci siamo trovati di persona. A lui piaceva il mio modo di andare in montagna e a me la sua filosofia aziendale, quindi abbiamo deciso di collaborare.

Cosa ti ha colpito di più?

Mi ha colpito l'autenticità, nel senso che è tutto così come lo vedi, senza tanti fronzoli e filtri a livello di marchio. Inoltre, sono dei prodotti di grande qualità e comfort: quando li indossi, ti senti coccolato.

Qual è il tuo prodotto preferito?

Dipende un po’ dall'attività che faccio. Mi piacciono molto le Skimo Tech per fare scialpinismo e poi le Mountaineering Tech per fare cascate di ghiaccio e alpinismo al freddo. Sono un grande appassionato dell'inverno e della quota, quindi mi gusto molto i prodotti caldi pensati per le attività invernali. Ora inizia la stagione della corsa e dell'arrampicata, e le Sky Black Tech torneranno a girare ai piedi e nella lavatrice!

Info: www.elbec.it


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ELBEC è il marchio di una azienda che produce calze in lana merinos per il trekking, l’alpinismo e l’outdoor in generale. I prodotti si differenziano per la qualità dei materiali e per l’attenzione all’ambiente in tutte le fasi di produzione. I prodotti sono interamente realizzati in Italia con macchinari di ultima generazione oppure a mano direttamente in Dolomiti nell’ambito del progetto Manifattura Diffusa. L’azienda cerca di promuovere un rapporto con il consumatore basato sulla totale trasparenza e partecipa attivamente alla promozione di attività ed azioni che propongano una fruizione alternativa della Montagna più rispettosa dell’ambiente.


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