We Are Alps #1: un viaggio nel cambiamento climatico

Lungo l'arco alpino insieme alla convenzione delle Alpi / parte prima: 'Voralberg, quando le catastrofi insegnano' e 'Observatoire du Mont Blanc'. Di Simonetta Radice
Voralberg, quando le catastrofi insegnano
È dicembre, è il 1954 e le parole "cambiamento climatico" non sono probabilmente ancora sulla bocca di nessuno. Nella regione austriaca del Voralberg, però, non solo non c'è traccia di neve, ma le temperature sono insolitamente alte, crescono i fiori, sembra già primavera. Sarà così fino al 9 di gennaio, quando il tempo cambia drasticamente, iniziando a nevicare fitto. Nevicherà senza interruzione fino all'11 di gennaio, giorno in cui, a partire dalle 5 del mattino ben sette valanghe si staccano dai monti sopra il piccolo villaggio di Blons distruggendo 29 case, 56 stalle e altri 30 edifici e uccidendo 57 abitanti.

Questo drammatico episodio, ben radicato nella memoria degli abitanti della valle, ebbe quanto meno il merito di orientare in maniera decisa tutte le politiche ambientali successive di questa piccola regione, con un'attenzione che ancora oggi, a più di 60 anni di distanza, non si è affatto spenta. Oggi il Voralberg, come vedremo, rappresenta un modello virtuoso di sviluppo turistico e di gestione del territorio, a fronte di risorse non prive di limiti e per questo motivo ho voluto iniziare proprio da qui a raccontare l'edizione 2015 di We Are Alps, il progetto della Convenzione delle Alpi che, ogni anno, coinvolge un numero di giornalisti di tutto il mondo per approfondire le tematiche di maggiore attualità per l'arco alpino e i suoi abitanti.

Quest'anno, in vista della prossima conferenza di Parigi sul clima, il tema del viaggio è stato proprio il cambiamento climatico e, attraverso un percorso da Grenoble alla vetta della Zugspitze, è stato possibile capire meglio come questo rilevante fenomeno viene percepito e quali effetti a livello pratico sta avendo sull’ambiente. Da sempre, infatti, le Alpi sono un laboratorio privilegiato per lo studio del clima. Nonostante ospitino solo lo 0,018% della superficie glaciale del pianeta, la  loro ricchezza in termini di biodiversità – sono ben 30.000 specie animali e 13.000 specie vegetali a popolare oggi l'arco alpino è elevatissima e costituisce un osservatorio ideale per gli effetti del surriscaldamento globale.

Si diceva quindi del Voralberg: l’area di Grosses Walsertal è una comunità di origine Walser che raccoglie circa 3500 abitanti nei sei villaggi di Fontanella/Faschina, St. Gerold, Raggal/Marul, Sonntag/Buchboden, Thüringerberg e Blons. Ci sono circa 150 fattorie, di cui la metà opera con marchio Bio; l'agricoltura rappresenta un lavoro part time per molti e circa un migliaio di persone sono pendolari. I sei villaggi contribuiscono alla gestione della Riserva della Biosfera di Grosses Walsertal, parte del patrimonio dell'UNESCO. La specificità di questo tipo di riserve consiste nella ricerca di un equilibrio tra tutela della natura e sviluppo sostenibile, con diverse azioni volte alla promozione e alla valorizzazione dei prodotti locali essenzialmente formaggi, manufatti in legno e erbe officinali insieme ad altre votate alla conservazione del bosco. Anche oggi l'inverno porta parecchia neve in quest'area e, su pendii anche molto ripidi, possono accumularsi fino a 5 metri di neve: senza un accurato lavoro di prevenzione, l'intera area non sarebbe addirittura abitabile. Come evitare quindi che una situazione simile a quella del 1954 si ripresenti? "Vogliamo che il bosco a fare il 90% del lavoro" dice Tony Zech, che lavora alla tutela del demanio forestale e ci accompagna lungo la visita "Abbiamo popolato la riserva con pini ed abeti che fungono da argine naturale a possibili valanghe. Abbiamo anche notato che, con l'aumentare delle temperature, gli alberi a foglia tendono a salire di quota, ma si indeboliscono e non sono particolarmente adatti per questo tipo di protezione. Quello che facciamo è cercare in ogni caso di avere un bosco in equilibrio, ma non possiamo pretendere il controllo totale della natura. Abbiamo realizzato anche una serie di paravalanghe in legno che sono molti costosi (circa duecentomila euro per ettaro), ma preferiamo investire sulla prevenzione piuttosto che trovarci a dover rimediare a disastri, come è stato in passato." Il demanio è di proprietà pubblica per il 50% e privata per l'altro 50 ma ogni taglio è attentamente regolamentato.

Il Voralberg punta molto più sul turismo invernale che su quello estivo. Kerstin Biedermann Smith, direttore dell’ufficio turistico della regione di Bludenz, ha presentato i risultati di un progetto realizzato tra aprile 2013 e maggio 2014 per valutare gli impatti del cambiamento climatico sulle principali attività della valle: il turismo e l'agricoltura. Secondo i modelli presi in esame, l'aumento medio delle temperature nei prossimi 35 anni saranno coerenti con quelli che si registrano oggi nelle Alpi, cioè pari circa a 1,2 °C ma aumenteranno sensibilmente (+300%) i giorni con temperature superiori ai 30 gradi mentre diminuiranno del 20% quelli con temperature inferiori agli zero gradi. Delle 18 stazioni sciistiche della regione, nove rischiano di restare al di fuori dell'area delle precipitazioni nevose entro il 2050; si dovranno prendere quindi in considerazione strade alternative per la fruizione della montagna invernale rispetto al tradizionale sci da pista. L'aumento delle precipitazioni piovose, invece, potrebbe favorire alcune coltivazioni, aprendo nuove opportunità all'agricoltura di montagna.

La possibile evoluzione della fruizione invernale della montagna è motivo di preoccupazione in tutto l'arco alpino, cosa facilmente comprensibile essendo lo sci da discesa un modello di business ormai consolidato.Stupisce però, a fronte di studi approfonditi sui possibili effetti del cambiamento climatico, la pressoché totale mancanza di idee positive alternative allo sci da pista. Come vivere la montagna in inverno senza neve? A questa domanda è possibile che molte delle attuali stazioni sciistiche debbano prima o poi dare risposte concrete.

Il progetto dei "Mountaineering Villages" va in questo senso: nato 8 anni fa per iniziativa del Club Alpino Austriaco, ruota attorno all'idea di turismo alpino sostenibile e riunisce piccoli paesi montani caratterizzati da una tradizione alpinistica di rilievo, per offrire agli ospiti vacanze attive pur senza senza grandi infrastrutture e capaci di valorizzare l'ambiente naturale e ciò che offre senza le forzature tipiche di tante località blasonate. In particolare, queste località si distinguono per un'offerta sostanzialmente lontana dal tradizionale sci da pista: non solo sci alpinismo ma anche racchette da neve, scalata su ghiaccio o anche, perché no, corsi di cucina o di erbe officinali. Il progetto conta al momento 18 villaggi ma sono sempre di più le località che puntano su questo modello di accoglienza, che si rivela promettente per il futuro.

Siamo tutti scienziati
Vivere ai piedi del Monte Bianco è un privilegio che comporta responsabilità. Privilegio, per il fantastico ambiente naturale in cui si è immersi, responsabilità per il fatto di essere parte di un ecosistema assai fragile e delicato che richiede conoscenza, educazione e cura. Lo sanno bene i ricercatori dell'Observatoire du Mont Blanc, il piccolo centro di ricerca scientifica di Chamonix voluto e fondato da Joseph Vallot, uno dei padri della ricerca scientifica nell'area del tetto d'Europa. Dal diciottesimo secolo medici, astronomi, glaciologi e climatologi hanno condotto esperimenti, messo alla prova nuove teorie e testato nuovi strumenti.

Oggi l'Osservatorio ospita il Centre de Recherche pour les Ecosystèmes d’Altitude (CREA), un organismo di ricerca specializzato nello studio degli ambienti di montagna che si distingue per il suo carattere "partecipativo" nella creazione di programmi a cui ognuno può dare il proprio contributo. Il progetto "Phénoclim", per esempio, coinvolge studenti, professionisti, pensionati e chiunque voglia partecipare, in un'opera collettiva di monitoraggio di alcuni semplici fenomeni fenologici. Le date di fioritura di determinate specie di piante (castagno, melo, ciliegio e altre), per esempio, vengono rilevate da osservatori volontari residenti in Francia, Italia, Spagna, e altre regioni montane europee: un esercito di "citizen scientist" che, nel giro di 10 anni, ha raccolto oltre trentamila osservazioni. Questi dati servono per capire come le diverse specie si adattano ai cambiamenti climatici anno dopo anno e per andare a "riempire" modelli matematici che ne tracceranno l'evoluzione probabilistica. Il lavoro sul campo è senza dubbio il modo migliore per sensibilizzare le persone a ciò che avviene nell'ambiente che ci circonda e, con lo stesso scopo, il Centre de la Nature Montagnard di Sallanche propone attività educative rivolte non solo ai ragazzi, per i quali si organizzano trekking naturalistici, osservazioni sul campo, esposizioni multimediali, ma anche a imprenditori e professionisti, per capire come minimizzare l'impatto della loro attività su un ecosistema tanto delicato. "Il centro è stato fondato nel 1985 e ogni anno contiamo oltre 30.000 visitatori" racconta il direttore Emmanuel Schaller "Il nostro obiettivo è quello di diventare il visitor center ufficiale per l'area del monte bianco e abbiamo in programma un'ambiziosa opera di restauro, che sarà completata per il 2018."

Ghiacciai e foreste: sorvegliati speciali del cambiamento climatico
il progetto "Atlas" Mont Blanc, sempre condotto dal Centre de Recherche pour les Ecosystèmes d’Altitude (CREA) ha mappato la distribuzione delle foreste nella regione del Monte Bianco: tra il 1952 e il 2006 si è registrato pur con differenze significative tra un'area e l'altra un incremento pari al 60% della superficie boschiva, con un costante rialzo della cosiddetta "line tree", la linea degli alberi che, al momento, si colloca a circa 2250 m di altitudini. L'aumento della temperatura sulle Alpi nel corso del XX secolo è stato superiore a quello del resto dell'emisfero Nord del pianeta (1,2 gradi contro 0,7 di media, con picchi di 2 gradi nelle fasce più alte) e ci si aspetta che nel 2050 la fascia della vegetazione salga addirittura a 3500 metri. Fantascienza? Tutt'altro, se si pensa che un esemplare di pino cembro è già stato osservato a 2800 metri, in località Clochers d'Arpette. Nel corso del ventesimo secolo, si è osservata una risalita di circa 30 metri delle specie subalpine e si ipotizza che la biodiversità presente nella zona del Monte Bianco sarà molto meno diversificata tra 100 anni per via dell'estinzione delle specie d'alta quota , con particolare pericolo per le specie endemiche il cui habitat sembra destinato a ridursi del 50%. Il ranuncolo glaciale, per esempio, fiorisce tra i 2300 e i 3200 metri nel corso di un arco di tempo molto breve, che deve essere però preceduto da un periodo freddo. Prepara le sue gemme con due anni di anticipo ed è una pianta che potrebbe non riuscire a reagire con tempestività ai cambiamenti climatici, per questo motivo è una specie monitorata con particolare attenzione. Naturalmente sono i ghiacciai i sorvegliati speciali del cambiamento climatico. Il ghiacciaio dei Bossons, in particolare, che dalla cima del Monte Bianco arriva fino a circa 1400 m di altitudine, è stato recentemente protagonista di di una grossa frana che ha visto a metà giugno precipitare oltre 200.000 metri cubi d seracco su un'estensione d oltre un chilometro. Tra il 1818 e il 2005 il ghiacciaio è arretrato di circa 1,5 Km, con qualche piccola avanzata tra il 1875 e il 1892, tra il 1090 e il 1921 e infine tra il 1954 e i 1975. Già nel 1920, Charles Vallot diceva che "E' ben noto a Chamonix che le variazioni del ghiacciaio dei Bossons precedono di diversi anni quelle nello stesso senso del Mer de Glace". Il ghiacciaio dei Bossons, infatti, è più piccolo rispetto al Mer de glace e reagisce più velocemente alle variazioni climatiche Il Mer del Glace, pur reagendo più lentamente accusa però effetti più significativi, basti pensare che tra il 1820 e il 2005 il Mer de Glace ha perso più di 2,2 km di lunghezza, mentre quello dei Bossons soltanto 1,5 km. Ma l'osservazione dei ghiacciai ha altri osservatori privilegiati: le stazioni di ricerca ad alta quota. Nel nostro viaggio ne visiteremo due: la Stazione di ricerca della Junfraujoch e quella della Zugspitze, la montagna più alta della Germania.
(continua)

Di Simonetta Radice



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