Il viaggio senza curve

Patagonia, con gli sci da El Chalten e ritorno attraversando il Passo Marconi, la Gorra Blanca, il Circolo de los Altares, la Laguna de los Esquis e il Passo del Viento. Un viaggio senza curve nello Hielo Continental, tra suggestioni, vento e l'inafferrabile bellezza della natura. Di Paolo Tassi
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Un viaggio "senza curve" nello Hielo Continental, tra suggestioni, vento e l'inafferrabile bellezza della natura
Tito Bertoni
Ogni curva ė segno di paura. Cosí recita uno slogan freerider. Io non lo condivido affatto! Le curve nello sci sono indispensabili, sono il sinuoso muoversi su una parete inclinata e bianca. Le curve modellano allo sciatore la discesa; si può individuare la linea che ci porta alla neve più bella, ci portano a scoprire le pieghe curiose del pendio, ci fanno cambiare l'orizzonte, rappresentano il piacere del piacere: gli sci che cambiano spigolo ed il nostro corpo si assoggetta di conseguenza.

A me piace curvare, piegarmi fino a toccare col ginocchio la neve; non tutte le curve uguali da cima a fondo ma una serie di lunghe e corte alla ricerca costante della scorrevolezza con la complicità della montagna. Per questo cerco, se riesco, palcoscenici sempre ambiziosi per gratificare quella danza antica chiamata Telemark.

Tutta questa mia curiosità mi ha portato in Patagonia, esattamente dove Pietro (Dal Prá) mi aveva raccontato 20 anni prima di avere passato un mese dentro una truna, esattamente quel viaggio che Marcello (Cominetti) mi aveva sconsigliato d'intraprendere con gli sci. Ma avevo un bellissimo ricordo della Gorra Blanca, una serie infinita di curve al cospetto dello Hielo Continental, un bivacco che Giuseppe (Ghedina) ed io ripensiamo ancora nel bene e nel male.

Patagonia es todo o nada, dicono da queste parti. Io voglio alzare l'asticella ancora un po': oltre alla Gorra vorrei sciare il "Filo Rosso", essere così vicino al Cerro Torre da poterlo toccare; dormire al Circolo de los Altares e godere della vista di tutti quei picchi che solleticano le fantasie di chiunque si sia legato ad una corda per scalare.

Siamo in 5: oltre al sottoscritto c'è Tito, fotografo oculista col vizio del telemark. Michele che da poco ha aperto un negozio d'abbigliamento e lo skyline che ci accoglie è lo stesso che si trova all'ingresso della sua attivitá. Cristiano che di gelati se ne intende e vuol vedere se lo Hielo regge la concorrenza coi suoi. Sigmar, esploratore da più una di generazione, ci siamo conoscuiti alle Svalbard e mi sa che gli piace il freddo.

Una delle sfortune è arrivare al Chalten con il bel tempo, fa perdere la concentrazione e quella tensione che il vento fa filtrare ad ogni sibilo. Partiamo carichi e felici, il sole ci fa compagnia fino al Passo Marconi, cioè dove calziamo gli sci per dirigerci al bivacco nei pressi della Gorra Blanca, il primo obiettivo che neanche vediamo. Una nebbia avvolge l'enorme montagna sopra di noi, l'immensità dello Hielo è imbarazzante davanti alla punta dei nostri sci. Non disperiamo, ne abbiamo un'altra cima da salire.

Il giorno successivo dirigiamo verso il Circolo de los Altares, le nuvole vanno e vengono ed un certo venticello favorevole ci accompagna. È bellissimo, trasciniamo le nostre pulke che fedeli ci seguono cariche di cibo e di ottimismo lungo questo corridoio infinito. Siamo nello Hielo Continental!!

Al punto prestabilito pieghiamo ad est e, con passo felpato, ci inoltriamo dentro il Circolo de los Altares. Non vediamo niente ma credo di essere nel posto gusto! Dov'è finito il Torre?

Per chi ha sognato di essere alpinista trovarsi qua fa un effetto particolare, un'emozione grandissima. Tutto tace a parte un piccolo sibilo inevitabile da queste parti. All'improvviso si apre davanti a noi il panorama sperato tutte le montagne sono lí! Ma le tende no, volano via mentre noi ammiriamo l'ammirabile. Per fortuna che Sigmar, quello dotato delle gambe piú lunghe: con uno scatto le riacciuffa prima che arrivino in Cile. Cristiano si guarda intorno e sentenzia: certo che dev'essere un posto bello freddo questo qua, c'è ghiaccio dappertutto!

Preparato il campo, sempre Sigmar sale qualche metro sopra la tenda e fa 4 bellissime curve. Anch'io! Salgo, tolgo le pelli, è il momento che aspettavo: parto! Prima curva ok. Seconda curva affondo col ginocchio nella neve ma qualcosa non va: seguo il mio naso, volo, rotolo, finisce il pendio... Sigmar ride, io, che pensavo di saper sciare, mi guardo intorno incredulo. Sono col culo per terra e non so se avró altre possibilitá di curvare da queste parti. Peccato.

Alla mattina ci svegliamo e sembra di essere immersi in un bicchiere di latte. Sopra, sotto a destra e a sinistra tutto uguale, bianco credo. Partiamo seguendo la tecnologia, il gps ci guida finchè puó... facciamo slalom tra i crepacci, ci caliamo tra un ghiacciaio e l'altro, incontriamo rocce e morene inospitali (altrochè calienti argentine) infine approdiamo vicino ad una laguna, grigia.

Siamo alla Laguna de los Esquis, il vento che ci ha accompagnato tutto il giorno adesso ci precede, è piú forte e veloce di noi. Noi siamo stanchi, lui no, anzi raddoppia, triplica la sua presenza. Montiamo le tende e proviamo a dormire. Un rigagnolo d'acqua vicino a noi decide di venirci a trovare nella notte. Il vento, l'acqua, cosa manca? Ci spostiamo e ci stringiamo. Ci troviamo nel mezzo di una tempesta taoista abbracciati in 5 dentro una tenda. Era da prima che venissi partorito che non vivevo una simile intimitá, peró là dentro ero da solo.

Casualmente mi sono portato dietro un libro, uno dei diari della ciurma di Shackleton. La situazione eroica di quei naufraghi era in qualche modo simile alla nostra. Cibo, tabacco e tende li avevamo, bisognava solo tenere alto il morale. Certo il paragone non è generoso: loro erano più a sud, tra ghiacci che si sfaldavano, in barca alla ricerca di un'isola sperduta in un altro tempo. Noi siamo nell'era dei telefoni furbi, sempre connessi, quando c'è campo c'è tutto.

La bufera fuori non dà tregua. Quando è il mio turno di spalare le tende vedo le acque scure e le rocce nere stondate che ci circondano, troppo simili al racconto dei naufraghi dell' Endurance. Ogni tanto leggo una pagina, guardo le foto in bianco e nero e tasto il polso dei ragazzi, mi sento una grande calma e forza dentro, sento che abbiamo margine mentre gli altri tra, fioretti e testamenti, cominciano ad avvertire la fatica della situazione per nulla confortevole.

Poi un giorno, il terzo mi pare, si calma il vento. Accendo finalmente il fornelletto per fare acqua e urlo di gioia: colazione!! Mi sento rispondere dalle tende: io la faccio a letto! A letto? Non possiamo permetterci di perdere tempo, dobbiamo muoverci, oggi la colazione si fa più tardi! Tutti in marcia!

Ci disanchilosiamo, strizziamo vestiti e sacco a pelo e poi partiamo verso Passo del Viento. Ad ogni passo il Passo non si avvicina. Camminiamo ore per assurde morene, ad un certo punto sembra di essere in mezzo a quei contenitori di biglie di vetro dove basta infilare una moneta per vincere una pallina e poi quando esce tutte si muovono. Speriamo che nessuno giochi oggi.

Superiamo ancora un ghiacciaio e un dedalo roccioso; ci manca solo di guadare il fiume il prossimità della laguna Toro. Mancano pochi metri al posto dove accamparci, sono seduto su sasso quando una botta di vento ci colpisce ancora. Guardo come barcolla Michele, eppure è ben piazzato. Credo che se non fossi stato seduto sarei caduto per terra. Finalmente mangiamo e ci raccontiamo le nostre paure. È un bel momento! Poi la lunga gita fino al Chalten, non finisce più!

Mi prudono i piedi. Non è l'unico punto del mio corpo a prudere ma vorrei grattarmi i piedi e allo stesso tempo vorrei farmi una doccia. Quando vedo le case non ce la faccio più. Mi siedo su un prato, mi tolgo le scarpe e le calze e finalmente provo a togliermi questo fastidioso fastidio pedestre. Cavolo ho i piedi grossi il doppio, a toccarli non sembrano i miei, così rugosi assomigliano alla lingua di una mucca. Tito mi fa una foto. Il Chalten ci attende!

Paolo Tassi
https://www.facebook.com/paolo.tassi.142



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