Alpinismo: nella Nordwand dell’Eiger

Il tempo dentro la Nord dell'Eiger. Due vie: la Heckmair e Le Chant du Cygne. Due salite, due momenti diversi e nel mezzo il tempo che scorre per un viaggio e un alpinismo che si ripete al presente. Maurizio Rossetto e il cammino che l'ha portato, guidato dall'amico e guida alpina di Courmayeur Arnaud Clavel, nel cuore dell'Eiger. Il 16 aprile 2007 sulla mitica Heckmair e, quasi 10 anni dopo, il 2-3 settembre 2016, su Le Chant du Cygne, la splendida via aperta da Michel Piola e Daniel Anker sulla grande parete Nord.
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Maurizio Rossetto sulla via Le Chant du Cygne, parete Nord Eiger
Arnaud Clavel

Eterno è il tempo. / E' tempo l'eternità. (Mario Luzi)

“L’uomo dice: il tempo passa. Il tempo dice: l’uomo passa”: recita un detto popolare indiano. Io dico: nelle menti umane uomini e tempo apparentemente passano, seguendo cronologica serialità stagionale. In realtà nulla passa, persistendo in un eterno presente del quale le nostre menti restituiscono potenza ed emozioni. Si vive di sogni, di lacrime, di gioie. Di passione si vive, a spasso nel tempo. Any given day, inch by inch, step by step. O forse semplicemente si vive sperando di condurre la vita verso quel senso che riteniamo risiedere dietro le nostre chimeriche passioni. Ed allora ostinatamente cerco quel punto di rottura dalla ripetitività per immettermi nel cuore di una squillante solarità. Ed imperterrito seguo, passo dopo passo, vetta dopo vetta, quell’invito al viaggio montano che dà forma e slancio al mio essere.

In questo cammino, guidato da Arnaud Clavel, ho incontrato il maestoso volto dell’Eiger: variegata maschera di ghiaccio, pietra, luci ed ombre. Alle volte, mansueto, l’Eiger sorride di fronte al passaggio umano. Altre brontola. Purtroppo qualche volta, di pessimo umore, respinge infuriato i suoi assalitori. Per fortuna l’Eiger ha sempre avuto un occhio di riguardo per la cordata Clavel-Rossetto, avendola accolta con un garbato e cordiale sorriso, che ha certamente facilitato l’attraversamento della sua imponenza. Ben consapevole dei miei limiti alpinistici ho deciso di affrontare la mitica Nordwand seguendone gli itinerari meno arditi: “classica” Heckmair e Le Chant du Cygne.

Sebbene aperte a distanza di molti anni (l’Heckmair è datata 1938 mentre la via di Piola è stata aperta quarant’anni più tardi), e nonostante il fatto che la tipologia di scalata sia completamente diversa, entrambe le vie sono caratterizzate da marcata connotazione alpinistica. Forse ancor più nella linea di Piola viene richiesto, al primo di cordata, buon fiuto onde poter individuare la linea e i punti di protezione.

L’Eiger è per me sempre stato principalmente silenzio; un silenzio condiviso in viva e cauta natura. Ancor piccino in silenzio l’ho scovato tra le pagine della mia libreria di montagna. In silenzio l’ho sognato e silenziosamente ad esso mi sono accostato. Il timoroso silenzio del 16 Aprile 2007, data della nostra salita lungo la via Heckmair, ha ceduto negli anni il passo a quel silenzio maggiormente riflessivo che ha dato fiato al nostro Canto del Cigno.

Camminando verso la base della Heckmair ero assalito da una serie di timori legati in parte alle incognite della salita, in parte ai fantasmi della storia di quella parete che negli anni era stata causa di così tanti decessi, ma soprattutto riconducibili alle mie modeste capacità alpinistiche a confronto con quel repulsivo spazio montano. Insomma un turbinio di sgangherati ed inarticolati pensieri che mi facevano progredire in timoroso e concentrato silenzio. Sarà anche che il nostro primo avvicinamento all’Eiger è avvenuto la notte, la cui assenza di luce non aiuta a stimolare la vena ottimistica dell’umano carattere. Partimmo nel cuore di una notte in cui anche il vento non faceva rumore. Solo i nostri passi scricchiolavano sul manto nevoso verso la base della parete. Alle volte qualche breve scambio tra me ed Arnaud su meri aspetti logistico-organizzativi si interponeva tra i silenti capitoli del viaggio intrapreso.

Il silenzio del 2-3 settembre 2016 (date della nostra ripetizione alla Le Chant du Cygne) è stato invece un silenzio di maggiore consapevolezza, frutto probabilmente delle nostre maturazioni umane ed alpinistiche avvenute nel corso degli anni che dividono queste salite. Anche il fatto di aver in precedenza già superato la stessa parete, che ora intendevamo approcciare lungo il suo Canto del cigno, non me la faceva più guardare con quella enorme preoccupazione che aveva invece caratterizzato la mia prima volta all’Eiger. Ricordo infatti che il 15 Aprile 2007, appena giunti a Grindelwald, pranzammo ed io ero così teso per la via che ci stavamo accingendo a tentare che continuai a chiedere ad Arnaud di raccontarmi i ricordi della sua invernale del 2002 alla Heckmair, e di indicarmi minuziosamente le varie tappe della stessa. Come se una conoscenza più articolata e certosina del percorso avesse potuto di per sé lenire prospettiche fatiche.

Quel pranzo cedette il passo a rinnovato silenzio, e alla concentrazione del caso. Francamente della cena non ricordo alcun discorso o dettaglio specifico. Rammento invece che la camera, ove ci adagiammo a riposare per alcune ore prima della sveglia della notte, era estremamente calda: un caldo eccessivo, che attaccava in gola e disturbava il sonno. Poi si partì tra il rumore del materiale sull’ imbragatura e quel silenzioso rumore di notte montana. Prati. Neve. Riflessi di luci artificiali. Passi. Sempiterno fiatare di salita.

Nel giro di poco tempo raggiungemmo l’imbocco della famosa galleria. Lì Arnaud ruppe il silenzio dicendomi che in quel preciso punto, nel febbraio 2002, aveva avuto inizio il suo primo viaggio nel cuore della Nordwand, che tenne lui e i suoi compagni impegnati per tre gelide giornate. In fondo una delle tappe, che mi aveva descritto durante il pranzo del giorno prima, era giunta al suo termine silenziosamente, in punta di piedi; senza quella arroganza con la quale alle volte alcune pareti – o tratti di salita - ti aggrediscono e provocano, consumandoti energie e speranze.

E’ ancora nitida in me la sensazione di enorme preoccupazione che provai alla “fessura difficile”, quando mi trovai a lottare per riuscire a salire qualche metro, avvolto da una notte nera come la pece, tagliata solamente da qualche sbavatura di lampada frontale. In quel momento si fece largo la sensazione di aver dato avvio ad un’impresa ben più grande delle mie capacità. Fu un breve ma intenso momento di panico. Cercai allora forza in me e mi spronai a non farmi assalire dalla ingiustificata paura, spesso causa di meri rallentamenti nella progressione.

Al “bivacco della morte “ (alias parte alta del ferro da stiro), tra un tea caldo ed un panino al prosciutto, finalmente si chiaccherò. Da quel famigerato punto (non peraltro rinomato come “il bivacco della morte”) hanno inizio i tiri di corda che contegono le reali difficoltà tecniche della Heckmair: rampa, traversata degli Dei, ragno , fessure difficili. Per onor del vero merita menzione il fatto che durante l’Aprile del 2007 la parete era in condizioni perfette e ciò permise a innumerevoli alpinisti di poterla affrontare con buone probabilità di successo. Inoltre la decisione di Arnaud di salire con una sola corda si dimostrò vincente sin dall’inizio.

Da allora ogni qual volta Arnaud si porta dietro quella corda verde è per me un immediato tornare al palcoscenico della Nordwald e alla sostanziale differenza che quella sua decisione fece in termini di velocità della nostra salita. Grazie ad essa per me fu più facile dare corda ed Arnaud ebbe un peso notevolmente inferiore sulla sua imbragatura mentre progrediva da primo di cordata.

Nonostante fossimo dotati di sacco a pelo e fornello a gas il 16 Aprile 2007 non bivaccammo. Una volta giunti in vetta, avvolti in un considerevole nevischio causato dalle nuvole che il calore della giornata aveva contribuito a creare, decidemmo di scendere a valle alla volta della Kleine Scheidegg. Tra l’altro il 16 Aprile è il compleanno di Arnaud e lui non avrebbe gradito festeggiarlo in vetta all’Eiger, in un freddo ed umido bivacco, rispetto alla possibilità di poter raggiungere comodi letti e cibo caldo nel giro di alcune ore.

Al Canto del Cigno invece decidemmo di bivaccare, dato che da svariati mesi io non mettevo le scarpette e temevo che i piedi non avrebbero potuto resistere in una sola giornata i 22 tiri che caratterizzano la linea. Al di là di qualche caduta di pietre nella seconda parte della via, causata dalla cordata che ci precedeva, della “Le chant du Cygne” porto in serbo il ricordo di una splendita salita di roccia di cui ho potuto pienamente godere.

Avvolto da una magico silenzio montano trascorsi il bivacco del Canto del Cigno pensando principalmente al mio piccolo Niccolò addormentato abbracciato al suo orsacchiotto. Calda notte, fraterne risate ed ottimo cibo ci condussero al sonno. Poco prima di addormentarmi, guardando in basso Grindelwald, cercavo di immaginarmi come potessero essere interpretate, nei tanti focolari domestici, le luci di tutti quei bivacchi che accompagnano il viaggio di ostinati alpinisti nel cuore dell’Eiger. Pazzia? Eroismo? Indifferenza?

Ogni volta che ripartiamo sono altri silenzi dai mutati contenuti e dai diversi sfondi. Nel ricordo la salita diventa un articolato dipinto di noi stessi dai colori pastello, in cui ci rivediamo diversi, grazie al riconoscimento di quelle forze e debolezze che nelle ore d’ alpinismo abbiamo fatto emergere in noi stessi. In quei silenzi di salita abbiamo piu’ volte cercato di accordare i frammenti delle nostre vite, come se quel ‘salire’ ci permettesse di guardarle dall’alto, in modo distaccato, per il semplice fatto che viene sospesa la quotidianità, con la sua grigia ripetitività di gesti e ritmi.

Il silenzio è in primis l’essenza della nostra vita. In esso veniamo creati; nei suoi cunicoli ci formiamo, e ad esso torniamo. E’ come se esso fosse origine, fine e compagno. Durante il nostro andare nel mondo, in ritmato silenzio, articoliamo in modo percepito o impercepito il nostro ragionamento. In muto silenzio si profilano, non catturati dalle luci del ricordo, la maggior parte dei frammenti del nostro tempo: battesimi dei nostri pirandelliani centomila. Gli stessi momenti strappati dal ricordo al muto silenzio ritornano ad esso non appena fagocitati da una coltrina di polvere. E’ come se i momenti del nostro esistere ci si manifestassero emozionalmente solo in alcuni frangenti. Ad ora incerta. Il nostro tempo - percepito e non - son quindi silenzi da tinte, sapori ed intensità ben diverse.

Nonostante la mancanza di istantanee, e la dimenticanza degli eventi, il silenzio del non ricordo non riesce comunque a elidere le sensazioni che rimangono invece impresse in modo nitido nel nostro spirito. La montagna rappresenza bene questa realtà. Essa spesso non ci restituisce chiari e limpidi ricordi ma da lei viene profusa vita alla vita, nel magma del nostro essere atemporale.

Come poc’anzi ricordato il silenzio in preparazione della Le chant du cigne era stato per me ben diverso da quello della Heckmair. Sapevo infatti che tornare all’Eiger sarebbe stato come tornare a chiacchierare con un vecchio amico, che si riabbraccia volentieri dopo anni di non frequentazione. Questo clima di maggiore rilassatezza nasceva anche dalla personale consapevolezza, maturata in svariate ore di studio, che la via fosse molto probabilmente alla mia portata: vuoi per i gradi dei vari tiri di corda, vuoi per la tipologia di scalata a tacche nette, che io prediligo.

Detto questo più si progredisce lungo Le chant du Cygne più la parete guadagna in verticalità, peggiorando nel contempo in termini di qualità della roccia. Alle volte ti sembra che enormi strutture potrebbero rimanerti improvvisamente in mano. Insomma se alla Heckmair più salivo più mi calmavo, qui più salivo più iniziavo a pensare di dovermi seriamente preoccupare. Tra l’altro diverse ore prima di noi era partita, lungo la stessa via, un’altra cordata, la quale, il secondo giorno, fu causa di diverse scariche di pietre, mentre noi eravamo nel mezzo della salita.

Al termine delle difficoltà del Canto Cigno ci si trova a dover attraversare, camminando, un tappeto di pietre rotte, il quale conduce all’uscita dalla Nordwand, alle carezze del sole, e all’inizio della discesa. Durante quell’attraversamento i nostri predecessori ci regalarono un concerto di materici sibili di Newtoniana gravità, che intervallarono i silenzi montani dell’aperto circostante.

In una manciata di ore fu nuovamente Grindelwald e con essa arrivò nuovamente il momento del commiato dal gigante della Nordwand, che in modo così ospitale, anche questa volta, ci aveva accolto e cullato: forse intenerito di fronte a cotanta inguaribile “malattia di verticalità’”. Ma il viaggio non approda a queste rive. Adesso non ci rimane che tornare a lavorare alla nostra prossima meta di chiarore montano: a cui ancorare le nostre esistenze, il nostro tempo; i nostri vibranti silenzi.

Maurizio Rossetto




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